Difendere il Mediterraneo da uno sfruttamento che non porterà alcun vantaggio all'Italia è l'obiettivo della campagna di informazione organizzata da Greenpeace in occasione del referendum del prossimo 17 aprile. L'associazione ambientalista, nelle scorse settimane si è mobilitata per chiedere al Governo l'Election day (elezioni referendarie e amministrative insieme), una scelta che avrebbe permesso un risparmio di denaro pubblico di quasi 400 milioni di euro, che però non è stato concesso. In questo periodo sta cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla necessità di evitare che prevalgano gli interessi delle compagnie petrolifere, a discapito di alcune dellemaggiori risorse economiche italiane come il turismo e il patrimonio paesaggistico.

Referendum: ecco perché Greenpeace voterà "Sì"

Come gli altri gruppi che sostengono il referendum, Greenpeace evidenzia che per il nostro paese la concessione dei permessi per trivellare i fondali del Mediterraneo avrebbe un impatto negativo sul patrimonio ambientale e sulla fauna presente nel "Mare nostrum". Alcuni controlli effettuati dall'associazione ambientalista hanno già rilevato la presenza di agenti inquinanti nei molluschi e nelle aree poste nei pressi di strutture per l'estrazione del petrolio. Un'intensa attività di trivellazione non porterebbe alcun vantaggio economico effettivo, dato che nelle acque italiane la quantità di greggio è ridotta e coprirebbe il fabbisogno energetico nazionale per appena due mesi.

Nemmeno l'ipotesi di sfruttare i diritti derivanti dalla concessione dell'uso può essere considerata valida: infatti, le multinazionali che operano nel settore del petrolio, pagherebbero al nostro Governo una percentuale ridotta (7%) sulle royalties, garantendo scarsi introiti.

Greenpeace sostiene pure che le piattaforme offshore già presenti nei mari italiani e il cui numero è destinato adaumentare in caso di vittoria del "no" o del mancato raggiungimento del quorum, potrebbero provocare, nel caso di perdite, un grande disastro ambientale che causerebbe la morte di numerose specie presenti nel Mediterraneo come tartarughe, delfini e gabbiani. In questo caso sarebbe danneggiata anche la pesca, attività importante per l'economia di molte regioni della penisola.