Il 25 giugno scorso, Greenpeace Italia si è resa protagonista di una manifestazione nel mare antistante la città di Camogli (Genova). Gli attivisti hanno trasportato per un breve tratto di costa dei gonfiabili a forma di oggetti comuni in plastica (bottiglie d'Acqua minerale, bicchieri) con un messaggio chiaro per il Ministro dell'Ambiente Galletti: "il mare non è usa e getta". Un'azione finalizzata a chiedere al Ministero di intervenire alla "fonte" del problema: il nostro consumo di plastica quotidiana è assolutamente insostenibile e, di conseguenza, bisogna prendere atto che vanno avviate pratiche di produzione industriale che diminuiscano drasticamente l'utilizzo di questo materiale.

In questi giorni la lotta di Greenpeace si è fatta ancora più attuale, in seguito alla diffusione di uno studio delle Università del Minnesota e della statale di New York, che hanno dimostrato quanta plastica sgorga dai rubinetti delle città americane e del resto del mondo. Lo studio sposta l'attenzione sul rischio per la salute del nostro pianeta e del genere umano.

L'allarme riguarda l'acqua che beviamo, ma anche prodotti come pane, pasta e semilavorati in genere, che hanno bisogno d'acqua nella produzione. La ricerca dimostrerebbe che le acque dei rubinetti americani e di altri paesi sarebbero piene di microfibre di plastica.

La plastica che beviamo

Ma è proprio così? Per Francesco Regoli, biologo e docente all'Università Politecnica delle Marche, intervistato di recente da "La Repubblica", le microplastiche sono "Un inquinante emergente, ancora poco compreso", e lo studio americano sarebbe carente di approfondimento.

Per Regoli, pretendere che non ci sia un problema con la plastica è assurdo. Non aver tenuto conto, nella nostra produzione industriale, che una bottiglia realizzata con questo materiale impiega 600 anni a degradarsi completamente, è il problema maggiore. Ma, allo stesso tempo, lo studio dei ricercatori americani sarebbe poco attendibile, seppur utile per porre l'accento sul problema.

Servono, secondo Regoli, studi molto più approfonditi per evidenziare la presenza delle microplastiche. Come ha dimostrato anche il quotidiano "La Repubblica" che, dopo aver effettuato tre prelievi da altrettante fontane del centro di Roma, ha inviato i campioni all'IRSA, che hanno dato esito negativo (nessuna presenza di fibre microplastiche).

Forse i nostri depuratori sono migliori di quelli americani? Oppure è solo una questione di analisi sbagliate o poco approfondite? Per i ricercatori italiani, c'è bisogno di approfondire le analisi e di dare maggiore attenzione all'argomento, considerando anche le eventuali conseguenze che questo preoccupante fenomeno potrebbe avere sull'organismo umano.

La plastica nel mare

Che il pianeta sia ormai invaso da questo materiale, lo dimostrano gli avvistamenti delle ormai tristemente famose "isole di plastica". Le correnti oceaniche, con i loro flussi, concentrano enormi masse di microplastiche in grandissimi "blob" galleggianti. Un disastro ambientale a cui bisogna dare risposte immediate.