La maglia numero 3, oggi decisamente virtuale come tutti i numeri di maglia che un tempo sancivano i ruoli dei calciatori, da 1 ad 11. All'Inter oltretutto è stata ritirata il 6 settembre del 2009, in omaggio all'atleta che più di tutti ha rappresentato i colori nerazzurri indossando quel numero: Giacinto Facchetti. In realtà il ruolo di terzino sinistro che nel calcio moderno viene definito esterno difensivo o esterno basso sinistro, rappresenta da oltre un ventennio la croce dei tifosi nerazzurri. Dopo Giacinto Facchetti che l'ha indossata per 18 anni, dal 1960 al 1978, gli interpreti di alto livello che hanno rivestito quel ruolo sono contati.

L'ultimo acquisto messo a segno dalla dirigenza interista riguarda proprio la discussa casella della fascia sinistra in difesa che, nella prossima stagione, vedrà la presenza del brasiliano Dalbert. Esploso nella Ligue 1 francese nella passata stagione, dopo essere stato prelevato dai portoghesi del Vitoria Guimaraes, è l'elemento sul quale punta decisamente Luciano Spalletti per fornire qualità e spinta sulla corsia suddetta. Come tutti gli esterni brasiliani, Dalbert Henrinque Chagas Estevao possiede notevoli qualità offensive, ma ovviamente la sua militanza nel calcio europeo ha affinato anche le capacità difensive.

Baresi e Brehme

Dopo il ritiro di Giacinto Facchetti, a partire dalla stagione 1977/78 la maglia numero 3 passa sulle spalle di Beppe Baresi.

Lavoratore infanticabile, grinta ed attaccamento alla maglia lo contraddistinguono. Il più anziano dei fratelli Baresi svolge quel ruolo più che dignitosamente: con lui l'Inter vince uno scudetto ed una Coppa Italia, ma con l'arrivo di Ilario Castagner sulla panchina nerazzurra nella stagione 1984/85, viene spostato a centrocampo dove il tecnico conta di sfruttare al meglio le sue doti di interditore, mentre sulla corsia esterna sinistra viene dirottato il nuovo acquisto Andrea Mandorlini.

In realtà la mossa non apporta i dovuti benefici, nonostante l'ottima stagione di una squadra che, però, ha proprio da quelle parti l'anello debole. Nella stagione successiva arriva Luciano Marangon, fresco di scudetto con il Verona: sarà un flop. Così l'Inter, tra esperimenti e 'pezze' per coprire il buco, si ritrova quasi fuori programma nella stagione 1988/89 colui che sarà ricordato come uno dei migliori interpreti del ruolo di tutti i tempi.

Andy Brehme arriva come 'ruota di scorta' dell'affare Matthaeus, inizialmente Giovanni Trapattoni lo schiera a centrocampo e dà fiducia all'esperto Baresi nel suo vecchio ruolo: dopo un pre-campionato di alti e bassi, il 'Trap' affida a Brehme la maglia numero 3 e nasce l'Inter dei record. Carisma, personalità, grandi doti di copertura, discese inarrestabili sulla fascia e cross con il contagiri per gli attaccanti: il tedesco unisce a queste straordinarie qualità anche una notevole visione di gioco, la capacità di giocare indifferentemente con entrambi i piedi ed un tiro al fulmicotone, cosa che lo rende pericolosissimo sui calci piazzati dalla distanza. Inoltre è un freddo rigorista, sarà lui a regalare dal dischetto il terzo titolo mondiale alla Germania nel 1990.

Quando lascia l'Inter nel 1992 si crea un vuoto quasi incolmabile e quella voragine, a parte qualche buona parentesi, è aperta tutt'oggi.

Soluzioni temporanee, errori di valutazione e flop

Una delle discrete parentesi citate è quella che vede Gigi De Agostini raccogliere l'eredità di Brehme nella stagione 1992/93: tutto sommato un buon campionato per l'ex juventino e per tutta l'Inter. Ma la sua esperienza dura una sola annata, poi inizia il vero 'casting' del dopo-Brehme: l'arretramento in difesa di Davide Fontolan, i 'tamponi Antonio' e Massimo Paganin, tutti giocatori adattati che si dimostrano poco idonei al compito assegnato. Poi la svolta nella stagione 1995/96, dal Palmeiras viene acquistato il talentuoso brasiliano Roberto Carlos e qui l'Inter si renderà protagonista di un clamoroso errore di valutazione: il giovane giocatore disputa un'ottima stagione, caratterizzata però da alcune amnesie difensive che convincono il tecnico Roy Hodgson a metterlo nella lista dei cedibili.

Carlos va al Real Madrid dove scriverà la sua sua leggenda, la dirigenza nerazzurra si lascia sfuggire un fuoriclasse al quale sarebbe bastata una stagione in più per acquisire quella maturazione agonistica poi raggiunta in Spagna. E gli esperimenti in casa nerazzurra continuano, tanto quando c'è il punto interrogativo in quella casella arriva Javier Zanetti a tamponare la falla: il futuro capitano si adatta a tutti i ruoli possibili. Qui parte una schiera incredibile di nomi, alcuni diventati vere 'leggende al contrario'. Da Alessandro Pistone, promessa mancata, al carneade Gilberto; da Grigoris Georgatos, greco con la saudade, al disastroso Vratislav Gresko. Per non parlare di Francesco Coco, incredibile il suo flop a Milano o, in tempi più recenti, di Alvaro Pereira.

La sfilata del dopo-Roberto Carlos è enciclopedica: Silvestre, Brechet, Cesar, Santon, Nagatomo. Gli ultimi due certamente non si possono paragonare ai disastri che li hanno preceduti, ma sono troppe le occasioni avute e non sfruttate da entrambi. Sottotono all'Inter anche Fabio Grosso e Maxwell, mentre una nota di merito la dobbiamo elevare per Giuseppe Favalli, fortemente voluto da Mancini alla sua prima esperienza nerazzurra, ed a Cristian Chivu, protagonista con Mourinho del triplete, anche se quest'ultimo era più un marcatore che un terzino offensivo. Riteniamo che basti questo scenario per illustrare il peso che ora grava sulle spalle di Dalbert.