Inevitabilmente, l'Ebola è sbarcata anche in Europa. Fortunatamente, il più dei casi sospetti si rivela poi solo tale, ma l'allerta deve restare alta. Lo stesso dicasi per gli Stati Uniti, dove ormai diverse sono le persone in quarantena. Il virus non è stato ancora fermato alla fonte e continua a mietere vittime specie in Guinea, Sierra Leone e Liberia, ma ormai si è estesa anche in Nigeria e Congo. Tornando al vecchio Continente, sono tre i casi sospetti a Madrid e ormai tutti i Paesi hanno attivato sostenute misure di sicurezza agli aeroporti.

E in Italia come stiamo messi? Dove, oltre agli aeroporti, dobbiamo anche far fronte ai continui sbarchi in Sicilia? A leggere una testimonianza di due volontari italiani riportata dal Resto del Carlino, non c'è molto da stare tranquilli. In generale, è tutto il sistema sanitario a non convincere.

Il quotidiano bolognese ha ripreso la storia di due volontari italiani appena rientrati dal Congo, Paese inserito nella lista dei quattro più a rischio (assieme ai primi tre succitati). I due, Lucia Della Bartola e il compagno Massimo Pagliai, hanno raccontato di non aver avuto alcun tipo di controllo particolare all'aeroporto, e lo stesso è stato anche per tutti passeggeri congolesi a bordo. Ma il problema non è solo all'aeroporto italiano.

Infatti i due affermano che sia all'aeroporto di Kinshasa, sia allo scalo di Parigi, nessuno si è preoccupato del fatto che il volo fosse quasi totalmente frequentato da congolesi. Poi all'aeroporto di Bologna - continuano i due - "nessuno si è posto il problema dell'arrivo di due cittadini da uno dei Paesi inseriti nella lista di quelli "infetti".

Eppure basti pensare che i dati ufficiali dicono che in Congo finora sono morte per Ebola 42 persone mentre il dato sui contagi non è disponibile.

Il Ministero della Salute sta andando avanti per auto-denuncia, cioè si controllano solo i casi che sentono i sintomi della malattia. Un sistema insomma su base volontaria, non proprio un esempio di massima allerta.

Del resto, la stessa Lorenzin ha anche ammesso che non è ancora disponibile un elenco degli italiani nei Paesi a rischio: «Abbiamo chiesto al responsabile per la Cooperazione allo sviluppo Lapo Pistelli - ha detto alle commissioni - un censimento degli operatori italiani che lavorano nei Paesi colpiti dal virus Ebola», aggiungendo poi che sono «qualche centinaio». Unica Regione che si sta attrezzando adeguatamente all'emergenza è il Veneto, dove il Governatore Luca Zaia ha ordinato a tutte le Ullss e Aziende Ospedaliere di seguire un "Protocollo Operativo" specifico «per il controllo delle malattie infettive e la profilassi immunitaria in relazione all'afflusso di immigrati». Il Protocollo punta alla rilevazione costante del numero di immigrati presenti nelle strutture di accoglienza e l'avvio di un'attività di rilevazione pressoché quotidiana, indicando le procedure da seguire e le strutture sanitarie alle quali i "tutor" devono fare riferimento in caso di sospette patologie, infettive e non.

Speriamo che questo piano per i controlli sia preso a modello da tutte le altre Regioni italiane e non ci si affidi solo a quanti sospettano di avere il virus e sperare che si tratti sempre di puro e solo allarmismo. Del resto l'Italia è attualmente il Paese più esposto ai flussi migratori provenienti dall'Africa, precisamente, dalle coste libiche dopo la caduta di Gheddafi.