Dopo la strage di Suruç, la Turchia ha dato il via a una maxi operazione anti-terrorismo che ha colpito sia i militanti dell'Isis, sia quelli filo-curdi. Venerdì, annunciava il primo ministro Ahmet Davutoglu, i raid hanno portato all'arresto di oltre 300 persone in ben 22 province turche. Lo stesso giorno sono iniziati i bombardamenti contro i probabili nascondigli dell'Isis in Siria. I bombardamenti, continuati anche nella giornata di sabato, hanno colpito anche i combattenti curdi nel nord dell'Iraq, mettendo fine alla tregua proposta da Abdullah Öcalan nel 2013.

Le operazioni antiterrorismo

I bombardamenti turchi contro le basi del PKK nell'Iraq del nord sarebbero la risposta del governo di Ankara agli attentati seguiti alla strage di Suruç. Fino a quando esisteranno minacce concrete, ha commentato il primo ministro, la Turchia continuerà con le operazioni antiterrorismo per garantire la sicurezza alla nazione.

Ad oggi, fa sapere il governo, le persone arrestate sarebbero circa 590. Tra gli arrestati ci sarebbe anche una donna in precedenza comparsa in un video in cui, insieme ad altre due donne, annunciava di volersi immolare per il Califfato. 

La Turchia, fino ad ora accusata di non aver preso posizioni chiare nei confronti del Califfato (o addirittura di sostenerlo), coi bombardamenti si è definitivamente esposta - sostiene l'Isis - entrando a fare parte del cosiddetto "esercito dei crociati".

Il governo di Ankara, infatti, era fino ad ora rimasta riluttante a mettere a disposizione la base aerea di Incirlik, oltre a non muoversi attivamente contro il reclutamento di jihadisti sul suo territorio, dove l'Isis dice di avere molti sostenitori pronti a scattare. Senza contare che il confine tra Turchia e Siria è quello più attraversato dai 'foreign fighters'.

In nottata è arrivato anche il sostegno ufficiale da parte degli Stati Uniti: la Turchia ha diritto a difendersi dagli attacchi terroristici in toto, anche da quelli dei ribelli curdi, con cui è in rotta dal 1984, anno d'inizio della lotta armata. A riferirlo è stato Alistair Baskey, portavoce della Casa Bianca. Per riprendere i negoziati, e tornare al periodo di tregua voluto da entrambe le parti nel 2013, sostiene Washington, entrambe le parti in gioco dovranno rinunciare alla violenza.

PKK: 'La tregua è finita'

Il leader del PKK, Abdullah Öcalan, nel 2013 aveva annunciato il 'cessate il fuoco' dalla carcere in cui è detenuto. Tregua che è durata fino ai bombardamenti e agli arresti dei giorni precedenti. Dal PKK, infatti, è arrivato un messaggio forte e chiaro: la tregua non ha più ragione di esistere. E, secondo l'agenzia stampa Dogan, presunti membri del partito curdo avrebbero rapito un poliziotto nella provincia di Diyarbakir e sequestrato quindici dipendenti di una centrale elettrica vicina al confine tra Iraq e Siria. 

Il PKK ha subito un boicottaggio anche a livello informatico dato che i siti di informazione filo-curda sono stati oscurati. Gli stessi problemi sono stati riscontrati anche nell'uso dei principali social network.