L'istituto giuridico della querela è sempre stato al centro di molte pronunce giurisprudenziali. Il codice penale riconosce alla persona offesa danneggiata dal reato il diritto-potere di proporre querela in forma scritta o orale. Elementi essenziali della querela sono infatti l’indicazione dei fatti e l’istanza di procedimento. Essa generalmente può essere presentata al PM o ad un ufficiale di Polizia giudiziaria. Recentemente, la Corte di Cassazione, sezione penale, ha affrontato delle importanti questioni sul tema.

Mancata comparizione e remissione tacita di querela

In particolare, la Suprema Corte, con sentenza n.12417 /2016 si è concentrata sul tema della remissione o revoca della querela, che si distingue dalla rinuncia che implica invece l’abdicazione al potere di proporre la querela. Sul punto la giurisprudenza (Sezione Unite sentenza n. 46088/08) è sempre stata concorde nel ritenere che tale istituto sia un atto necessariamente ‘espresso’ di natura processuale. In un procedimento davanti al giudice di pace non può quindi ritenersi tale la mera assenza della parte offesa dal dibattimento che non ha allegato un legittimo impedimento a comparire. Ne consegue che la mancata comparizione del querelante non dà luogo ad una remissione tacita della querela poiché non costituisce fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela stessa.

Con la recente sentenza sopracitata la Cassazione ha invece mutato tale orientamento. In particolare ha statuito che la condotta del querelante che non si presenta in udienza, dopo essere stato espressamente avvisato che la sua assenza verrà interpretata come abbandono dell'istanza di punizione, integra remissione (extraprocessuale) tacita della querela.

Secondo gli Ermellini inoltre il giudice deve sempre verificare che la persona offesa abbia personalmente ricevuto detto avviso di comparizione. In tali casi la remissione tacita dell’atto di querela determina di conseguenza l’estinzione del reato oggetto dell’imputazione.

Lesioni causate da errore medico, decorso del termine della querela

La Cassazione con la sentenza n.12701/2016 si è invece soffermata sul termine di proposizione della querela, nel caso della condotta posta in essere da un medico, consistente nell’aver provocato lesioni colpose aggravate a danno di un paziente. Nel caso di specie, il medico aveva infatti prescritto una terapia chemioterapica al suo paziente, avendo però omesso di controllare la somministrazione della stesso. Nell’esecuzione della terapia si era quindi verificato uno sversamento del liquido chemioterapico nei polmoni del paziente, che le cagionava così lesioni personali. I giudici di merito in I^ e II^ grado hanno quindi accertato una sua responsabilità penale e la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta del medico e le lesioni alla paziente.

Dopo la relativa condanna del medico, questo ha proposto ricorso in Cassazione. Gli Ermellini hanno anche qui rigettato il ricorso dell’imputato agli effetti civili, effettuando alcune precisazioni sul rapporto tra momento consumativo del reato e la tempestività della presentazione della querela. I giudici di legittimità hanno infatti ritenuto che il reato di lesioni personali colpose si consuma al momento dell’insorgenza della malattia prodotta dalle lesioni.

Se la condotta colposa però non cessa con l’insorgenza della malattia cagionando un successivo aggravamento, il reato di lesioni colpose si consuma quando si verifica l’ulteriore deperimento fisico. Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno ritenuto che l’insorgenza della malattia doveva farsi partire al momento dello travaso del liquido chemioterapico.

Per quanto riguarda il termine per proporre la querela, secondo gli Ermellini, nel caso in esame esso non è iniziato a decorrere dal momento in cui la paziente è venuto a a conoscenza della patologia contratta, ma da quello in cui ha capito che sulla sua patologia abbiano influito errori medici.