Nell'effettuare un'analisi della crisi dell'avvocatura di massa, è necessario far riferimento alla recente proposta di legge finalizzata a garantire una parcella in linea con l'attività professionale posta in essere dall'avvocato. La novità rilevante consiste nel fatto che siffatta parcella è rivolta solo ai clienti più forti e dunque potenti, come nel caso delle banche o delle assicurazioni. Con l'espressione equo compenso si fa riferimento a talune condizioni di offerte di lavoro rivolte ai difensori, ma che non debbano basarsi su compensi bassi o talvolta irrisori.

Il collegamento con il mondo politico appare inevitabile; infatti, una tale proposta può essere proposta solo dal Congresso Nazionale, unico organo legittimato alla formulazione di proposte autonome (il Consiglio Nazionale Forense, ad esempio, può solo esprimere pareri su proposte di leggi riguardanti l'avvocatura, ma solo a seguito della richiesta del Ministro della Giustizia). La teoria dell'equo compenso, seppur di matrice politica, secondo taluni potrebbe essere un incentivo alla fine della crisi che sta caratterizzando l'esistenza di più di 240 mila avvocati. Ma, non mancano voci volte a sostenere una sorta di illegittimità del predetto equo compenso. I criteri che assurgono a motivi del pensiero che nega la correlazione tra compenso e decoro della professione, sono due.

Entrambi ispirati alla libertà nella pattuizione del compenso.

L'illusione dell'equo compenso?

Analizziamo i due criteri alla base della critica suindicata. L'articolo 13 della legge professionale prevede che l'incarico dell'avvocato può essere svolto anche a titolo gratuito, e continua, affermando che la pattuizione dei compensi è caratterizzata da libertà.

Il secondo criterio normativo è dato dal successivo articolo 14, il quale afferma che non vi è alcuna proposta di onorario che possa definirsi vessatoria, perché sarebbe ontologicamente contrastante la natura della libera professione. Proprio dal riferimento alla libertà dell'attività, si evince che l'avvocato è libero di autodeterminare le conseguenze patrimoniali della sua prestazione.

Può decidere di lavorare a titolo gratuito nella stessa misura in cui può rifiutare un compenso offertogli. I più coraggiosi non esitano a ravvisare la similitudine tra il concetto di equo compenso con il concetto ditariffe minime, ritenute intese restrittive della concorrenza e dunque non considerate meritevoli dagli ordinamenti moderni.

Avvocati strumentalizzati dalle proposte

Gli avvocati, oggi, non sono liberi, nonostante le riforme apparentemente garantiste dell'esercizio della professione forense. La libertà, soprattutto per coloro i quali non hanno un reddito medio alto, li costringe ad accettare compensi sotto il minimo. Tra le proposte dei robot negli studi legali sull'esempio americano e il proiettato numero chiuso alla professione, la carta vincente è il coraggio; il solo coraggio di essere preparati in un mondo di eccessiva rivalità. L'avvocatura per raggiungere un tale risultato deve essere guidata da una società politica che racchiude in sé i massimi pregi di una realtà contemporanea.