Cose di Calabria, notizie che vengono portate alla luce da organi d’informazione nazionali, ma non locali. E’ certamente un caso giudiziario senza precedenti quanto riportato dal quotidiano ”La Stampa”, che deve aver fatto gelare il sangue nelle vene a chi si è reso protagonista di una dimenticanza grave. Stando ai fatti, è successo che sono stati rimessi in libertà tre imputati in quanto non sono state depositate in Cassazione le motivazioni della sentenza. I tempi previsti per portare a termine l’iter erano di novanta giorni, quarantacinque dei quali necessari ai difensori degli imputati per il ricorso in Cassazione, dopodiché la Suprema Corte avrebbe avuto a disposizione sei mesi di tempo per confermare o rigettare la sentenza di condanna.

Ma le cose sono andate diversamente, pur gravando la spada di Damocle della prescrizione e di mesi ne sono trascorsi undici. Un processo, quello dell’inchiesta “Cosa Mia” già partito in ritardo, che nonostante tutto aveva determinato condanne per trecento anni di carcere accompagnati da un imponente faldone di 3200 pagine. Gli imputati, infatti, erano stati condannati sia nella sentenza di primo grado che in Appello che, arrivato in Cassazione, si è risolto con un nulla di fatto facendo guadagnare a tre imputati la scarcerazione.

Guerra di ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro

L’inchiesta “Cosa Mia” era partita da un’accurata indagine nel 2010, quando Pignatone era procuratore a Reggio Calabria. In quel periodo la Piana di Gioia Tauro era falcidiata da una sanguinosa guerra di mafia che aveva fatto registrare in breve tempo la bellezza di ben cinquantadue omicidi.

Ed è stato in quel contesto che si appurò l’infiltrazione dei clan nei lavori dell’Autostrada A3 SA- RC. Le cosche avrebbero imposto alle imprese appaltatrici il pagamento del pizzo del 3% registrato come tassa sulla sicurezza ed ambientale. Altri dieci imputati erano stati liberati in precedenza per scadenza dei termini della custodia cautelare; per chi vive in Calabria simili avvenimenti assumono un messaggio poco rassicurante sia per chi vorrebbe denunciare sia per chi volesse collaborare con gli organi inquirenti.

Serve inoltre a mostrare le fragilità di un Giustizia che, con Codice alla mano, non è poi così punitiva per uomini che scontano una condanna non adeguata ai reati commessi. Una bella grana per il Ministro della Giustizia Andrea Orlando che ha mandato ispettori per far piena luce su quanto successo ed accertarsi della veridicità dei fatti.

Giustizia malata per processi lunghi

Certo che la Giustizia ultimamente non gode affatto di buona salute, specie in un sud terra di Ndrangheta dove diventa anche difficile respirare. L’organico è sguarnito, con carichi di lavoro stressanti e massacranti per giudici che devono sopperire ad udienze di ordinaria amministrazione mancando il personale adeguato. Comunque l’inchiesta “Cosa Mia” non è l’unico caso che sta facendo registrare incredibili anomalie. Vedremo cosa succederà a Catanzaro, dove sta per iniziare il “Processo Revenge”, che dal 2011 ad oggi è slittato di sei anni. Il processo riguarda il caporalato a Rosarno, con tanto di testimonianze dei migranti che hanno dato il proprio contributo. La Calabria avrà una giustizia efficiente capace di ridare fiducia ai calabresi?