Si chiamano "In3" e sono uno dei gruppi hip hop più rappresentativi di tutta la Cina.Nelle loro canzoniraccontano la quotidianità della vita dei giovani cinesi, includendo ovviamente l'ingiustizia sociale largamente diffusa nel paese, la corruzione della politica, le ipocrisie del governo e l'assenza di libertà. In altre parole fanno quello che qualunque gruppo hip hop che si rispetti dovrebbe fare, ovvero descrivere la realtà e denunciare le ingiustizie. Ed è proprio per questi motivi che il governo cinese ha deciso di censurarli.

In3, il gruppo che lotta per la libertà di espressione

La Cina non è esattamente il paese più libero del mondo, lo sa bene Chen Hao Ren, leader degli In3, che la parola "Libertà" se l'è tatuata a grandi lettere su un braccio. Il rapper, già più volte arrestato in passato, ha recentemente rilasciato un'intervista per il quotidiano francese "Le Figaro", durante la quale ha raccontato la complicata situazione del suo gruppo, emblematica dell'attuale stato della libertà di espressione in Cina.Per comprendere quanto le autorità temano il collettivo di Chen Hao Ren basta ricordare che, nel 2015, il ministero della cultura cinese ha proibito complessivamente 120 brani, dei quali ben 17 sono firmati dagli In3.

"Temono i nostri show perché radunano centinaia di persone, loro hanno paura della manipolazione delle folle - ha spiegato il frontman del collettivo, che non si è fatto problemi a scagliarsi in maniera netta contro le autorità del suo paese - Nei miei brani racconto le mie emozioni, il mio vissuto, il mio obiettivo non è destabilizzare la nazione, ma questo governo vede nei nostri testi dei messaggi nascosti che in realtà non esistono, arriva a pensare cose che noi non avremmo mai potuto concepire, ha uno spirito contorto, ben più del nostro".

In Cina la musica è percepita come un pericolo

La situazione in Cina è drasticamente peggiorata dopo la salita al potere del presidente Xi Jinping nel 2013. Quest'ultimo ha voluto a tutti costi incrementare il controllo del governo sulle attività culturali nel paese, arrivando addirittura ad invitare pubblicamente gli artisti a "servire la causa socialista".

Un drastico ritorno al passato che ha fortemente limitato la libertà di espressione soprattutto a Pechino, città che nel decennio scorso era diventata uno dei massimi centri culturali del paese anche per quanto riguarda le arti "occidentali".

Chen Hao Ren ha raccontato a "Le Figaro" come la censura non colpisca solo generi storicamente sovversivi come il rock e l'hip hop, ma anche produzioni artistiche apparentemente innocue e dall'indiscutibile valore storico come la musica classica. Secondo quanto racconta il rapper cinese, infatti, un funzionario del governo si sarebbe presentato ad una rappresentazione dell'opera "Il cavaliere della rosa" di Richard Strauss, e avrebbe ordinato di tagliarne alcune parti.

"La libertà è sempre stata e continua ad essere un tabù per i cinesi - afferma il leader degli In3 - Già da piccoli i genitori ci invitavano a non dare troppa confidenza agli amici, a non raccontare la nostra vita familiare. Oggi le persone si ritengono soddisfatte perché guadagnano bene, guadagnare è il loro modo di sentirsi liberi, ma non so se questa situazione potrà durare per sempre".