Un’estate difficile quella appena conclusa, segnata da una cronaca impietosa e logorante, dalla strage di Nizza agli attentati in Turchia, la guerra in Siria, gli immigrati in balia prima del mare poi di razzismi e inefficienze, il terremoto che ha lacerato il Centro Italia.

Ora è tempo di capire, di andare oltre la notizia, di guardare al di là della siepe, che sia quella del proprio cortile, delle proprie paure o delle proprie certezze.

Ieri sera a destare i telespettatori, i più fortunati ancora con il segno dell’abbronzatura, la prima puntata su Rai 3 di “Presa Diretta”, la trasmissione condotta dal giornalista Riccardo Iacona che nei giorni scorsi ha promesso che la parola d’ordine di questa stagione sarà “approfondimento”, l’unica via per trovare risposte alle grandi questioni della sicurezza, del terrorismo e della crisi economica.

Verità per Giulio Regeni

Con l’inchiesta, la prima, riguardante la morte del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni ucciso al Cairo, Riccardo Iacona, insieme alla giornalista Giulia Bosetti, ha delineato i contorni di un caso non semplice da trattare, ingombrante per le importanti relazioni economiche tra Italia ed Egitto, impossibile da tacere perché reclama verità e dà il polso del paese governato dal generale Abdel Fattah Al Sisi.

A sette mesi dall’omicidio ancora nessuna risposta ma una cosa è certa, Giulio Regeni è morto per le torture subite, “tutto il male del mondo si è riversato su lui, ho ritrovato di lui solo la punta del suo naso”, ha raccontato la mamma che insieme al papà ha ormai una sola paura: la diluizione del tempo che un giorno dopo l'altro allontana la ricerca della verità fino a farla scomparire.

A chi faceva paura Giulio Regeni?

Incidente stradale, giro di droga, delitto a sfondo omosessuale, vittima di una banda di sequestratori. Dal ritrovamento del suo corpo sul ciglio di una strada tra Il Cairo ed Alessandria, sono molti i depistaggi e le versioni fornite dalle autorità egiziane.

Ora però una spiegazione più plausibile si fa largo, Giulio era in Egitto per conto dell’Università di Cambridge per studiare i movimenti dei lavoratori e i sindacati indipendenti egiziani.

Si trattava 'solo’ di un lavoro di ricerca ma che non può che spaventare un regime come quello di Al Sisi, indebolito, preoccupato per possibili rivolte da parte degli oppositori o per tentativi di destabilizzazione tramati da mani straniere.

E così, il caso Regeni si chiama omicidio di stato perché sono i servizi di sicurezza egiziani ad essere coinvolti.

Hanno creduto che Giulio Regeni fosse una spia, lo hanno tenuto sotto osservazione per settimane, per poi prenderlo e torturarlo nella speranza di ottenere chissà quali informazioni. Questa è la ricostruzione di Omar Afifi, ex colonnello della polizia egiziana, che ora vive a Whashington.

Le prove di questa verità ancora mancano ma se le cose fossero andate così, se emergessero le responsablità dei servizi segreti, fino ad Al Sisi, l’Italia che farà?

#VeritàperGiulioRegeni