Tre colpi di pistola alla testa hanno stroncato la vita dello scrittore, giornalista, vignettista e attivista giordano Nahed Hattar la mattina del 25 settembre, all’età di 56 anni. È accaduto di fronte al Palazzo di Giustizia di Amman, capitale del Paese, mentre il controverso intellettuale si stava recando in udienza al processo che lo vedeva imputato per “vilipendio allareligione”. L’assassino è stato immediatamente fermato dalle forze dell’ordine e, stando alle indiscrezioni trapelate, si tratterebbe di un cittadino giordano di 39 anni fervente musulmano.

Laicità e libertà d’espressione

Il 13 agosto Hattar era stato fermato dalla polizia in seguito alla pubblicazione in Facebook di una vignetta satiricaritenuta offensiva nei confronti dell’Islam: stando all’agenzia locale Petra, l’accusa iniziale formulata contro di lui era di “razzismo e settarismo”. In seguito, il Pm Abdullah Abul-Ghanam l’aveva incriminato per “vilipendio allareligione”, sulla base del reato di “aver pubblicato materiale, immagini o rappresentazioni con l’intenzione di colpire i sentimenti religiosi e la Fede”. Dopo essere tornato in libertà nel mese di settembre grazie al pagamento di una cauzione era rimasto nel Paese in attesa di processo, procedimento giurisdizionale garante di civiltà che avrebbe dovuto muovere i primi passi proprio nella mattinata di domenica 25 settembre ma che è stato spezzato dalla barbarie di una lettura violenta e prevaricatrice dell’Islam.

Non era nuovo Nahed Hattar a cause legate alla libertà d’espressione. Dichiaratamente ateo, con una formazione cristiana alle spalle, aveva fatto della laicità una bandiera da sventolare con orgoglio in qualunque tipo di situazione. Numerosi i processi collezionati in questo senso, dai quali peraltro è uscito sempre con un verdetto di assoluzione.

Uno degli ultimi, quello che l’aveva visto imputato per oltraggio nei confronti di Re Abdullah II.

La vignetta

Il fumetto pubblicato nel suo profilo Facebook da cui l’intera vicenda è partita si intitola “In Paradiso…”, e mostra uno jihadista barbuto steso a letto in mezzo a due donne, una sigaretta accesa nella mano destra e l’indice sinistro alzato, a puntare contro un imponente e bonario volto di anziano, corrispondente a quello di Dio, che dall’esterno s’affaccia con garbo a guardare dentro la tenda dove giacciono le tre persone.

«Buona giornata, Abu Saleh, hai bisogno di qualcosa? - domanda il Divino, e il vizioso guerrigliero indicandolo risponde – Sì Signore, mi porti un altro bicchiere di vino e dica a Jibril (l’arcangelo Gabriele, ndr) di porgermi delle noccioline. Una volta fatto, mi mandi uno sguattero eterno che pulisca il pavimento e sparecchi insieme a Lei». Non contento, si premura poi di aggiungere, sempre rivolto all’Altissimo: «Non si dimentichi di installare un portone davanti alla tenda, così la prossima volta avrà modo di bussare, Sua Beatitudine».

Una chiusa, quella dell’ultima locuzione di cortesia, che secondo l’analista degli Affari Arabi del Clarion Project Anwar el-Iraqui nasconde un ultimo elemento di Satira interpretabile, secondo una certa ottica religiosa, come blasfemia: Hattar avrebbe infatti sostituito con Subhanekh, ‘Sua Beatitudine’ per l’appunto, la formula canonica Subnallah, ‘Gloria ad Allah’, con cui è tradizione terminare preghiere o raccomandazioni rivolte a Dio.

Alle feroci reazioni immediatamente esplose nel social network il vignettista aveva risposto eliminando l’immagine, e affidando la spiegazione del suo intento alle parole: «Non era mia intenzione offendere i credenti, anzi. Volevo sottolineare come un terrorista di Daesh o un militante di Fratellanza Musulmana (un movimento politico e religioso nato in Egitto che nel corso del tempo ha avuto una certa rilevanza parlamentare e governativa in Giordania, ndr) abbia un’idea distorta di Dio e del Paradiso – e poi, ad ulteriore integrazione – da non credente ho rispettato la sensibilità dei credenti che non comprendevano la satira dietro la vignetta»