La pausa umanitaria concessa da Damasco e Mosca ad Aleppo è probabilmemte terminata nella serata di ieri, caratterizzata da violenti scontri tra l'esercito regolare siriano ed i ribelli rimasti nella parte orientale della città. A darne notizia, tanto per cambiare, è l'Osservatorio siriano per i diritti umani, a tutti gli effetti agenzia di stampa delle forze di opposizione anti-Assad. Ad ogni modo, è semplicemente favolistico supporre che la tregua in atto dalla scorsa settimana possa avere una lunga durata. L'imponente flotta navale russa che sta muovendo verso il Mediterraneo punta dritta sulla Siria e l'obiettivo, sembra evidente, è quello di intensificare i raid aerei su Aleppo.

Tanto il presidente russo Vladimir Putin quanto il suo omologo siriano Bashar al-Assad sanno bene che la presa di Aleppo est è assolutamente necessaria per infliggere una sconfitta definitiva ai ribelli. Nuove preoccupanti ombre stanno però prendendo forma nel Nord della Siria, l'intensificazione delle azioni militari della Turchia viene vista da Damasco come una minaccia alla propria sovranità che potrebbe aprire un nuovo, devastante fronte di guerra.

La nota di Damasco

L'intenzione di Recep Erdogan è stata chiara fin dal momento in cui ha deciso di inviare il proprio esercito nel Nord della Siria. L'obiettivo ufficiale sono le postazioni dell'Isis, lo scopo reale è quello di ricacciare il più lontano possibile dal proprio confine le milizie curde dell'Ypg.

Ma l'azione di Ankara è stata duramente condannata dal governo siriano. "Quella dell'esercito turco - si legge nella nota ufficiale dell'agenzia SANA - è una violazione alla sovranità della Siria. Le vittorie dell'esercito siriano nella guerra contro il terrorismo hanno interrotto le trame del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, e lo hanno spinto ad intensificare la sua aggressione.

Qualsiasi ulteriore presenza turca entro i confini siriani sarà considerata una forza di occupazione alla quale ci opporremo con tutti i mezzi".

I possibili scenari

La guerra tra Turchia e Siria è sempre stato un ipotetico, catastrofico scenario immaginato da teorici e conoscitori delle questioni mediorientali. Riteniamo possibile che Erdogan si fermi non appena messi in sicurezza i propri confini dall'ingombrante presenza curda, alla luce dei dialogo riaperto ormai da mesi con la Russia.

Con il prossimo potenziamento dell'arsenale bellico di Mosca in Siria, la prospettiva di uno scontro militare con il fedele alleato di Putin è un rischio troppo grande per Ankara. Piuttosto, gli ultimi accadimenti che riguardano anche il vicino Iraq lasciano supporre che gli Stati Uniti considerino la Siria come una partita persa ma potrebbe anche non essere così. L'azione turca sta colpendo duramente le milizie dell'Ypg, zoccolo duro del Fronte democratico siriano supportato da Washington, ma ormai è chiaro da tempo che la Casa Bianca considera i curdi come una "pedina sacrificabile" e la Turchia è pur sempre un potente partner NATO. Quanto ad Aleppo, gli Stati Uniti e la stessa NATO non possono far altro che guardare impotenti l'escalation militare lanciata da Mosca.

Washington, pertanto, preferisce concentrarsi sul vicino Iraq, nel supporto militare alla presa di Mosul dove la rotta dello Stato Islamico, oltre a provocare una scia di sangue, pare stia causando anche una fuga di miliziani verso Raqqa, la capitale del sedicente Califfato in Siria. Un problema trascurato o una "strategia ampiamente calcolata"? Di fatto, l'avanzata dell'Esercito siriano libero a Nord, forza d'opposizione filoturca, e lo sconfinamento dall'Iraq di nuovi combattenti dell'Isis sono un bel problema per Assad per il quale, alla luce di questi elementi, la sola presa di Aleppo potrebbe rivelarsi insufficiente per avere partita vinta.