I social network vengono usati quotidianamente da milioni di persone, le quali talvolta in preda alla rabbia o ad altre emozioni si lasciano andare a scrivere insulti oppure confessioni private su Facebook, luogo virtuale che in caso di diffamazione, ingiuria o altri reati per la legge viene equiparato ad un organo di stampa, per la diffusione e la visibilità che può avere una pubblicazione. Pubblicare insulti sui social network può costare molto caro, ritrovandosi a dover affrontare un processo penale, con tanto di risarcimento del danno. Ma a parte le parole impronunciabili anche affidare ai social confessioni private può avere ripercussioni anche gravi.

Un recente articolo del sito laleggepertutti.it ha riportato alcuni casi frutto di sentenze pronunciate nell'ultimo anno.

Tra moglie e marito mai mettere il... social

Una donna di Pesaro a Dicembre dell'anno scorso si è vista togliere l'assegno di mantenimento da parte del marito, dopo aver confessato sul social network di lavorare in un locale notturno e di guadagnare ben mille euro a notte. Il tribunale di Genova invece a Gennaio di quest'anno ha riconosciuto come "prova di infedeltà" le attività su Facebook di un coniuge, facendo scattare l'addebito. Tuttavia se il tradimento è consumato quando la crisi di coppia era già emersa il discorso cambia. Infine è bene ricordare che un tradimento plateale, con denigrazione e umiliazione del tradito, può anche configurare gli estremi per un risarcimento del danno.

In un processo a Roma invece Facebook è servito per dimostrare le menzogne di una persona che sosteneva di non avere mai avuto contatti con la controparte, che lo ha smentito mediante delle foto pubblicate sul social che ritraevano i due insieme.

Le eccezioni alla regola

Se generalmente certe affermazioni configurano i reati di ingiuria o diffamazione, in certi contesti l'uso di parole grosse può essere giustificato e considerato normale dialettica.

E' il caso di un sindacalista assolto a Novembre dell'anno scorso dal Tribunale di Velletri. La situazione di tensione tra azienda e lavoratori per i giudici giustifica le affermazioni "sopra le righe" del sindacalista, precisando che la presa di posizione non aveva danneggiato l'onorabilità di nessun dirigente dell'azienda.