Dopo un processo con rito abbreviato, il gup del Tribunale di Roma, Nicola Di Grazia, ha emesso, nel pomeriggio del 21 febbraio, la sentenza nei confronti di uno dei responsabili dell'omicidio di Luca Varani, avvenuto il 4 marzo 2016 durante un "festino" a base di sesso, alcol e droga.

Trent'anni di reclusione, questa la condanna per Manuel Foffo, che dovrà provvisoriamente risarcire con 200mila euro i genitori della vittima in attesa del processo civile, nel corso del quale sarà quantificata l'entità esatta del risarcimento dovuto. Il gup ha accolto così la richiesta del pm Francesco Scavo, titolare dell'indagine, ritenendo l'imputato colpevole di omicidio volontario aggravato da crudeltà.

Marco Prato, altro responsabile dell'omicidio, verrà invece giudicato con rito ordinario il prossimo 10 aprile.

Le reazioni

La sentenza è stata accolta dai familiari della vittima e dal loro legale con malcelata contrarietà, sia per il rito abbreviato che ha ridotto l'entità della pena, sia per la caduta della premeditazione. Circostanza, questa, imputabile con ogni probabilità alle condizioni dei due assassini che avevano ripetutamente fatto uso, nei giorni precedenti, di stupefacenti e di sostanze alcoliche.

In seguito all'assunzione di queste sostanze i due giovani, nella notte del 3 marzo scorso, sarebbero saliti in auto alla ricerca di qualcuno da uccidere o da aggredire, al solo scopo di provocargli sofferenze fisiche.

Una sorta di "delirio del male" che si sarebbe espresso, in tutta la sua efferatezza, il giorno successivo, ai danni del malcapitato Luca Varani.

Le cause del delitto

Varani, secondo la ricostruzione fatta dal pm, invitato ad un "festino" (per lui fatale) a base di sesso, si recò, la mattina del 4 marzo dello scorso anno nell'appartamento di via Igino Giordani.

Qui trovò Foffo e Prato che, dopo averlo fatto denudare, lo stordirono con una bevanda unita ad uno psicofarmaco. Così ebbe inizio il terribile calvario che lo avrebbe portato ad una morte lenta e sofferta.

Armati di martello e coltelli, i due imputati cominciarono a infierire su di lui, lasciandolo poi morire dissanguato. Dopo aver dormito accanto al cadavere per circa 6 ore, si separarono.

Prato si fece accompagnare dall'amico in un hotel in piazza Bologna dove, stando alle sue dichiarazioni, avrebbe tentato il suicidio. Foffo, invece, confessò il delitto al padre, che lo convinse a costituirsi.

Tutto il resto appartiene alla cronaca: le accuse reciproche dei due giovani e i tentativi di trovare delle attenuanti. Di fronte agli inquirenti e alle loro domande circa il movente di un delitto così efferato, Manuel Foffo seppe solo rispondere: "Volevamo solo fare del male a qualcuno".