Lavagna, riviera del Levante ligure, provincia di Genova, 13 febbraio 2017. La ricostruzione dei fatti riportata dai (pochi) quotidiani on-line che hanno ripreso la notizia è più o meno univoca, ed è la seguente. Un ragazzo di 16 anni viene fermato da alcuni agenti della Guardia di Finanza perché trovato con 10 grammi di hashish addosso, durante un controllo davanti al liceo scientifico sportivo Giannelli di Chiavari. A quel punto scatta la perquisizione in casa, definita un “accertamento di routine” dal generale Renzo Nisi, comandante del gruppo provinciale GdF di Genova.

Il giovane, spaventato e confuso, dichiara di possedere un altro ‘pezzetto di fumo’ nella sua cameretta prima ancora di arrivare, accompagnato dalle ‘divise’, nella sua abitazione dove si trovano, ignari di tutto, i genitori. Durante la perquisizione, forse per la vergogna, forse per la paura delle conseguenze penali, lo sfortunato protagonista di questa storia si alza dal divano e si getta dalla finestra volando per tre piani, per finire poi la sua breve esistenza rantolando su un marciapiede. Di chi è la responsabilità di quanto accaduto?

A sentire il generale Nisi, che si dichiara sbigottito e padre di due figli adolescenti, ci sarebbe stata una “distanza enorme tra il controllo iniziale, il fatto contestato, la possibile conseguenza che non avrebbe avuto alcun rilievo penale e quel dramma che è successo poi”.

Forse un tentativo di minimizzare la portata psicologica, contestazioni penali a parte, che può avere su un giovane lo shock di una perquisizione antidroga in casa per pochi grammi di cannabis. Nisi scopre l’acqua calda quando afferma che, forse, a causa di quel controllo, “si è visto crollare il mondo addosso”.

Parola agli esperti

“Probabilmente la perquisizione davanti ai genitori lo ha destabilizzato. Si è sentito sotto tiro - prova a dare una risposta a quanto accaduto la psicoterapeuta Maria Rita Parsi, sentita dal Corriere della Sera - e quindi ha compiuto un'azione di ‘autoeliminazione’. Come se l'evento fosse stato più grande della capacita di contenerlo”.

Dotta teoria scientifica che, però, non serve di certo a riportare in vita il ‘pericoloso tossicomane’. Un parere più duro lo esprime Domenico Chionetti della Comunità genovese per tossicodipendenti di San benedetto al Porto, fondata da don Andrea Gallo. Secondo Chionetti, interpellato dal Fatto Quotidiano, “la repressione è pedagogicamente sbagliata” e “sono dieci anni che la politica sulle droghe è ferma”. Carenze che sarebbero state sostituite, continua, con il ricorso alla repressione delle forze dell’ordine. Una “dinamica della paura” che produrrebbe, secondo Chionetti, solo conseguenze nefaste perché “i cani nelle scuole non servono”.

Sulla stessa linea anche lo psicologo Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele di Torino, fondato da un altro prete di strada, don Luigi Ciotti.

“Non è attraverso i mandati di perquisizione per trovare droga, bilancini e piante che si risolve la questione - afferma Grosso - meglio la prevenzione. Parere medico sposato in toto dal politico del Pd Luigi Manconi il quale propone da decenni di “legalizzare i derivati della cannabis”. Riccardo Magi e Antonella Soldo, rispettivamente segretario e presidente dei Radicali Italiani, chiedono sia fatta “chiarezza” su quanto accaduto, ma parlano già di “una nuova vita spezzata dalle politiche proibizioniste”. Unica soluzione, a loro modo di vedere, approvare “la legge popolare per la cannabis legale” da loro depositata in parlamento. Infine, secondo Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, il proibizionismo è alla base di “tragedie di questo tipo”.