Robot, software, intelligenze artificiali e chi più ne ha, più ne metta: ora ci fanno paura. A tal punto sono entrati a far parte della nostra vita che, mentre ne siamo diventati dipendenti se non schiavi, annunciano la nuova malattia del millennio: la tecnofobia, il timore, fino al terrore, delle macchine. Siccome si preparano a sostituirci in tanti ambiti professionali perché più economici, più bravi, non fastidiosi né rivendicativi, la paura è crescente. Uno studio di un gruppo di sociologi americani fa il punto su questa nuova sindrome.

Tecnofobia, l'allerta dei sociologi statunitensi

Ora abbiamo l'identikit dei tecnofobi: uomini e donne del terzo millennio malati di tecnostress e condizionati dalla puara di essere 'schiacciati' dalle macchine d'ultima generazione. Ad elaborare questo identikit è stato il team di ricerca di Paul McClure dell'università americana Baylor con una ricerca pubblicata sul Social Science Computer Review.

Lo studio si è basato sulla disamina dei dati del rapporto annuale della Chapman University sulle paure degli americani elaborate attraverso un'intervista fatta a 1541 persone. La categoria più colpita da questa paura è quella delle persone meno istruite e fasce debole della popolazione, a cominciare dalle donne e persone di colore.

La paura che robot e intelligenza artificiale possano portare via il lavoro è a tal punto presente che crea ansia e si traduce in disturbi mentali. Chi la vive, nel 95% dei casi non riesce a controllarla, e il 76% ha la sensazione che qualcosa di terribile possa accadere da un momento all'altro.

Tecnostress, paure di ritorno in forme nuove

Non è la prima volta nella storia dell'umanità che le macchine ci hanno dato del filo da torcere, al punto da ingenerare nevrosi e persino patologie. Tra fine '700 e inizio '800, con la rivoluzione industriale in Inghilterra, l'introduzione delle macchine quali il telaio meccanico, generò il terrore che potessero far fuori il lavoro salariale e generare disoccupazione.

Nacque un movimento di protesta chiamato luddismo dal nome del suo promotore, Ned Ludd, che sabotava la produzione industriale e distruggeva le macchine.

Il 'luddismo attuale ha presupposti ben più complessi e radicali: un contesto in cui non c'è più bisogno dell'uomo che diventa persino un intralcio nell'automatismo produttivo. Ma i robot a dettadi molti economisti potrebbero segnare una positiva svolta epocale.

In attesa di nuovi scenari, in cui l'umanità si possa affrancaredal lavoro invece proprio grazie alle macchine e di una redistribuzione delle richezze, c'è chi come Bill Gates da uomo più ricco sulla faccia del pianeta, lancia messaggi provocatori quale tassare i robot.

Ma in questa fase, dal punto di vista dei lavoratori, la paura è più che comprensibile.

Dice il sociologo Paul McClure che chi svolga lavori quali trasportatore, magazziniere, operaio, ma anche impiegato, è normale abbia paura a perderli e viva il senso di un futuro nebuloso. E' probabile che il disagio sociale aumenti.

Consolazioni: se il lavoro spesso non c'è, non è colpa dei robot

Per il responsabile della ricerca, va mantenuto un monitoraggio della situazione anche continuando a svolgere ricerche sul fenomeno. In attesa di essere soppiantati da macchine pensanti, possiamo 'consolarci' con paure più tradizionali, tipo il lavoro che non c'è per complesse vicende e storture che si sono andate aggravando col tempo, come nel caso italiano. Senza bisogno di dare la colpa alle macchine, o di volerle tassare.