Rischia di dissolversi come una bolla di sapone una delle due accuse di falso contestate al capitano dei carabinieri del Noe Gianpaolo Scafarto. L’ufficiale dell’Arma è indagato dalla procura di Roma per il reato di falso aggravato. Avrebbe, secondo l’accusa, manipolato l’informativa sul caso Consip (in cui sono indagati tra gli altri Tiziano Renzi, Luca Lotti e i generali dei cc Delsette e Saltalamacchia) consegnata al pm Mario Palazzi. Il suo intento sarebbe stato quello di coinvolgere Renzi senior nell’inchiesta, attribuendo all’imprenditore Alfredo Romeo la frase, pronunciata invece da Italo Bocchino, “l’ultima volta che ho visto Renzi”.

Il dolo di Scafarto si sarebbe compiuto, almeno stando al contenuto dell’invito a comparire emesso nei suoi confronti, anche facendo credere di aver subito un pedinamento da parte dei servizi segreti durante l’inchiesta su Romeo. Ma, come ha scoperto il giornalista del Fatto Quotidiano Marco Lillo, Scafarto segnalò correttamente che uno dei quattro sospetti 007 era stato identificato come persona estranea ai fatti, mentre i dubbi permanevano sulle altre tre persone (due uomini e una donna).

Scafarto non avrebbe mentito ai magistrati sullo 007

Dunque, sostiene Lillo, è vero che nell’invito a comparire Scafarto viene accusato di non aver segnalato che la persona inizialmente indicata come una ‘barba finta’, proprietaria di una jeep parcheggiata nel luogo delle indagini, era stata identificata come “dipendente dell’Opera Pia, residente a poche decine di metri”.

Ma, quello che finora non era noto, è che Scafarto indicò come sospetti 007 altre tre persone, una delle quali notata mentre si segnava le targhe delle autovetture parcheggiate. Tutto scritto nero su bianco nelle annotazioni di Scafarto il quale, di queste quattro persone individuate tra il 18 (una persona) e il 19 ottobre 2016 (tre persone tra cui l’uomo della jeep), ne segnalò solo tre nell’informativa finale del febbraio successivo, quella del 18, e due su tre del 19.

L’errore, e non il dolo, di Scafarto, sarebbe stato quello di omettere che il quarto individuo ‘scagionato’ era proprio il non più fantomatico proprietario della jeep. Informazione non riportata nell’invito a comparire vergato dai pm, poi utilizzato dalla quasi totalità dei Media per accreditare la tesi dell’insussistenza dell’intera inchiesta Consip e per lapidare il presunto carabiniere infedele Scafarto.

Il linciaggio mediatico ‘telecomandato’ è stato anche favorito, sostiene Lillo, dalla passività della Procura di Roma che, una volta scoppiato il putiferio intorno al ‘complottista’ Scafarto, avrebbe dovuto chiarire pubblicamente che la persona segnalata da Scafarto nella sua informativa quale sospetto spione non era la stessa della jeep.