La minaccia di un nuovo conflitto nucleare non è mai stata così vicina. Il timore che serpeggia ormai da tempo sembra più che fondato dalle recenti dichiarazioni del magnate americano e presidente Trump, che a quanto pare non lasciano spazio a un ipotetica "risoluzione pacifica della questione nord-coreana", soprattutto dopo la grande parata militare di Pyongyang.

Sembra che mostrare i muscoli da parte di entrambi i contendenti abbia reso sterile ogni forma di comunicazione, incrinata definitivamente dopo la celebrazione del "Giorno del sole", festeggiato in coincidenza con l' anniversario della nascita del presidente eterno "Kim Il- Sung", fondatore dello Stato.

L'arsenale missilistico e militare è stato il vero e "proprio protagonista della parata", e allo stesso tempo la prova di forza di una nazione che non vuole abbassare i toni del confronto mascolino con il presidente americano Trump: un chiaro messaggio che non può far altro che allarmare anche la Cina, soprattutto dopo le la risposta di Pyongyang a Trump: "Gli Stati Uniti hanno introdotto nella penisola coreana, nel punto più caldo del mondo, massicci assetti nucleari, minacciando seriamente la pace e la sicurezza della penisola,e portando la situazione al limite della guerra".

La "dimostrazione di forza" di Trump

Alla base dell'inasprimento dei toni tra le due potenze c'è l'invio da parte del Pentagono della portaerei Carl Vinson, nei pressi della penisola coreana, di risposta ai test missilistici di Pyongyang.

Gli Usa hanno tuttavia calcato la mano in più di un occasione, anche con il bombardamento di una base del regime di Damasco in Siria, di risposta all'attacco che Washington ritiene sia stato condotto dalle forze governative. Intanto il premier giapponese, Shinzo Abe, ha affermato con convinzione che "la vicenda potrebbe sfuggire di mano a tutti", e temendo che Pyongyang potrebbe usare missili dotati di armi chimiche, lancia un preoccupante "parallelo tra il regime di Kim Jong-un e quello di Bashar al-Assad".

Va considerato inoltre che l'avvertimento degli Stati Uniti alla Corea del Nord è più che comprovato dall'utilizzo recente di Washington della più grande di tutte le bombe non-nucleari, la cosiddetta MOAB (madre di tutte le bombe, appunto), utilizzata per la prima volta in combattimento contro i covi terroristi in Afghanistan.

L'appello del Cemlino

La nuova politica aggressiva di Trump calca la mano su un possibile quanto inevitabile scontro bellico, dando vita a una politica "ben più dura e interventista" del suo predecessore Obama: " la Corea del Nord rappresenta un problema e ce ne occuperemo", sentenzia. Dichiarazioni che hanno spinto il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi a distendere gli animi nell'ottica di un dialogo pacifico, cercando di evitare in ogni modo che le cose arrivino "ad un punto irreversibile e incontrollabile". All'appello della Cina ha fatto eco anche il Cremlino, esortando "tutti i Paesi" a "considerare una risoluzione pacifica della questione", cercando di evitare atti che potrebbero essere interpretati come palesi provocazioni.

Pechino: una ripresa necessaria dei colloqui

"Se ci sarà una guerra, il risultato sarà una situazione in cui tutti perderanno e nessuno vincerà", ha dichiarato Wang Yi, precisando in un secondo momento che chi la provocherà "dovrà assumersene le responsabilità storiche e pagarne il prezzo". Dopo il missile "tracciato" dagli Usa, e la dichiarata cyber-guerra tra Corea del Nord e Washington, le dinamiche si sono notevolmente acuite prefigurando uno scontro imminente che tutti vorrebbero evitare tranne forse le due potenze in causa. Dopo il summit di Mar-a-Lago, tra il presidente degli Stati Uniti e il presidente cinese Xi Jimping, in cui la "questione bollente Corea del Nord è stato l'argomento principale", l'eventualità di un ritorno al colloquio sembra l'ipotesi più ragionevole e auspicabile per tutti.

La richiesta cinese di "calmare le acque" segue di poche ore la telefonata tra il presidente degli Stati Uniti e il primo ministro giapponese Shinzo Abe. Sembra che le parole di Trump abbiano lasciato intendere di nuovo una certa linea ferrea sui test missilistici di Pyongyang, definendoli "una pericolosa provocazione e una seria minaccia", sostenendo che tutte le eventuali possibilità di risoluzione sono sul tavolo e mirano a "risolvere la minaccia nucleare e missilistica nord-coreana".

Dialogo necessario tra le sei potenze

Per Pechino la strada da seguire è inevitabilmente quella del "dialogo a sei", che comprende oltre alla Cina e alle due Coree, Stati Uniti, Giappone e Russia, che fu incrinato nel 2009 prima del secondo test missilistico di Pyongyang.

Intanto sul tabloid Global Times, Lu Chao, studioso cinese della Corea del Nord, inasprisce ulteriormente i toni che Pechino cerca in ogni modo di distendere dichiarando che il lancio del missile a media gittata rappresenta "un atteggiamento senza compromessi nei confronti delle sanzioni dell' Onu, mentre sono in corso esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone".