La nuova guerra in Corea, la prima azione militare dell'amministrazione Trump a poco più di cento giorni dall'insediamento, è un destino già scritto? Di colombe tra Washington e Pyongyang ne abbiamo viste poche in queste settimane, il regime nordcoreano non sembra allentare di un millimetro la propria propaganda e l'atteggiamento provocatorio verso il potente e storico nemico. Da parte degli Stati Uniti, l'arrivo della flotta guidata dalla portaerei 'Carl Vinson', l'invio di un sommergibile nucleare ed il dispiegamento di un sistema antimissile in Corea del Sud che ha messo di traverso Cina e Russia non è certamente un segnale di distensione.

Da parte di entrambi i protagonisti di questo braccio di ferro che negli anni '50 era sfociato in una guerra tutt'altro che 'fredda', c'è la consapevolezza che tirarsi indietro sarebbe una 'dimostrazione di debolezza'. Siamo sempre più convinti che tanto Kim Jong-un, quanto Donald Trump siano leader poco lungimiranti in tal senso o, forse, solo politicamente incapaci di fare fronte alle conseguenze di un passo indietro.

Una partita a scacchi

Eppure, entrambi hanno tardato la mossa azzardata, quella che potrebbe provocare la guerra. La Corea del Nord ha mostrato i muscoli con le solite, imponenti parate, ed ha sciorinato i consueti proclami distruttivi. Nulla di nuovo per un dittatore, certamente più significativi come reale provocazione sono stati i due test missilistici effettuati, in dispregio delle minacce statunitensi e delle risoluzioni ONU.

Entrambi sono falliti e non è una casualità, forse sabotati di proposito dallo stesso regime perché è chiaro che un missile considerato 'minaccioso' dalla controparte autorizzerebbe la risposta militare. Anche Trump ha mostrato i muscoli, la sua annunciata 'armada' è entrata nel mare del Giappone, ma lo ha fatto in maniera molto più lenta rispetto a quanto inizialmente annunciato.

Il prossimo passo saranno una serie di esercitazioni militari praticamente alle porte del nemico. Kim Jong-un e Donald Trump stanno probabilmente calcolando ogni mossa strategica nella speranza che qualcuno dei due faccia un passo indietro.

La richiesta all'ONU di Russia e Cina

Sulla scena ci sono anche due attori non protagonisti, il primo è la Cina che, forte di una vecchia alleanza militare con la Corea del Nord, sta cercando di sfruttarla per indurre lo scomodo vicino a rinunciare ai propri propositi bellici.

Una missione diplomatica che si sta rivelando molto più difficile del previsto. Il secondo attore, comparso negli ultimi giorni, è la Russia. I rappresentanti dei due Paesi si sono allineati in una richiesta congiunta al Consiglio di sicurezza dell'ONU, anzi una "doppia proposta". Mosca e Pechino chiedono ai governi di Corea del Nord e Stati Uniti di rinunciare ad atteggiamenti minacciosi: al regime di Pyongyang viene chiesto di "cessare immediatamente i test nucleari e missilistici", a Washington di "rinunciare a condurre esercitazioni militari insieme alle forze armate sudcoreane" e, conseguentemente, di "smantellare i sistemi antimissile THAAD" posizionati praticamente al confine tra le due Coree.

"Sarebbe un punto di partenza dei negoziati politici", si legge nella nota congiunta dei rappresentanti russi e cinesi alle Nazioni Unite.

Pechino e Mosca preparano le difese militari

In realtà, nel momento stesso in cui la proposta veniva formulata al Palazzo di Vetro, il regime di Pyongyang procedeva con il secondo test missilistico, azione che ha legittimato le parole tutt'altro che rassicuranti del segretario di Stato americano, Rex Tillerson. Il capo della diplomazia di Washington ha sottolineato "il dovere di agire" considerato che "un attacco nucleare della Corea del Nord contro gli Stati Uniti è solo questione di tempo" che, inoltre "Pyongyang è già in grado di colpire Corea del Sud e Giappone".

La logica è quella dell'attacco preventivo, tanto cara alla politica estera statunitense. Il leader cinese Xi Jinping ed il presidente russo, Vladimir Putin, pertanto, non vogliono correre rischi. Il governo cinese ha allertato i bombardieri ed ha inviato una portaerei nel Mar Giallo, il monito è chiaro: Pechino si riserva di prevenire conseguenze impreviste di una guerra che si svolgerebbe a due passi dal proprio confine e si appresta a proteggere i propri territori. Per quanto riguarda Mosca, il sistema antimissile posizionato al confine orientale del Paese è in stato di allerta. "Certamente la Russia non è un obiettivo di eventuali lanci missilistici nordocoreani - ha detto Viktor Ozerov, presidente del comitato del Consiglio della Federazione russa - ma i nostri militari faranno comunque il loro dovere per impedire l'immissione accidentale di missili nel nostro territorio". L'eventualità di una guerra ormai prossima viene purtroppo presa in considerazione da tutte le parti.