Ha tenuto incollati allo schermo milioni di italiani. È stata senza ombra di dubbio la strage, assieme a quella in cui ha trovato la morte Paolo Borsellino appena due mesi dopo, che più di tutte ha scosso l’opinione pubblica e ha portato a riflettere più profondamente sul tema della legalità e della lotta alla mafia. Sono passati 25 anni da quel giorno e, oggi come allora, la morte di Giovanni Falcone è il faro a cui si rivolgono tutti i cittadini che vogliono un mondo più giusto e più sicuro. Centinaia le pagine dei social network che tengono vivo il ricordo dell’eroico magistrato.

La strage di Capaci

Una breaking news che ha interrotto tutte le trasmissioni. Accorsi immediatamente sul posto, assieme alle forze dell’ordine, gli operatori televisivi hanno ripreso la scena dell’attentato in silenzio. Mentre scorrevano le immagini riprese dall’alto dagli elicotteri, mostrando la voragine nel tratto di autostrada che da Palermo porta a Punta Raisi, le lacrime scendevano sul volto dei cittadini sbigottiti. Un attentato allo Stato, un colpo diretto al cuore delle istituzioni. Il 25 maggio 1992 è una data che si è impressa in modo indelebile nella memoria di tutti gli italiani. Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morivillo e i tre uomini della scorta - Antonio Montinaro, Rocco di Cillo e Vito Schifani - sono stati uccisi dalla mafia, che in modo plateale ha scelto il tritolo per porre fine agli attacchi diretti e precisi dell’eroico magistrato contro Cosa Nostra.

I processi nell’aula bunker di Palermo

Lo hanno chiamato il Maxiprocesso ed è durato, tra il primo e il secondo grado, dal 10 febbraio del 1986 al 30 gennaio 1992. È stato il più grande processo penale mai celebrato al mondo. 475 gli imputati in primo grado, di cui 360 vennero condannati, furono inflitti 19 ergastoli per un totale di pene detentive di 2665 anni di reclusione.

Quasi tutte le condanne sono state confermate in Cassazione. Ha posto fine alla sanguinosa seconda guerra di mafia, che tra il 1981 e il 1983 provocò la morte di oltre 600 mafiosi. A sfidarsi erano le fazioni dei Corleonesi e quella guidata da Stefano Bontante e Gaetano Badalamenti. A cadere sotto i colpi di Cosa Nostra anche molti uomini delle istituzioni: il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il segretario della provincia di Palermo della Dc Michele Reina, il commissario Boris Giuliano, il magistrato Cesare Terranova, il giornalista Mario Francese, il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, il procuratore Gaetano Costa, il segretario siciliano del PCI Pio La Torre e tanti altri.

Giovanni Falcone, insieme a Paolo Borsellino, Giuseppe di Lello e Leonardo Guarnotta, faceva parte del pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto, che aveva sostituito il consigliere istruttore Rocco Chinnici ucciso dalla mafia nel 1983.

La morte di Falcone nel ricordo collettivo

Il giudice Giovanni Falcone viene considerato a livello internazionale una delle personalità più importanti e prestigiose della lotta a Cosa Nostra. La sua famosa frase “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”, risuona come un monito contro il laissez faire di una parte delle istituzioni e di quei cittadini delusi o collusi con la mentalità mafiosa.

Durante i funerali delle vittime avvenuto il 27 maggio, a cui ha partecipato l’intera città di Palermo, il passaggio dei più alti rappresentati dello Stato viene salutato dalla folla con un moto di indignazione. Vengono duramente contestati dalla cittadinanza soprattutto Giovanni Spadolini e Claudio Martelli. Ilda Boccassini dichiarò davanti ai suoi colleghi magistrati: “Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali”.