Basta che dica tre volte la parola “divorzio” e l’uomo può ritenersi legalmente libero dal vincolo matrimoniale. Alla istantanea ex-moglie non resta che prenderne atto. Se fosse un diritto riconosciuto ad entrambi i coniugi nessuno avrebbe nulla da obiettare, a parte forse gli avvocati e i tribunali, visto che i tempi procedurali - e i costi - per porre fine al rapporto con il proprio coniuge si riducono praticamente a zero. Ma c’è davvero poco da scherzarci su, in quanto parliamo di una pratica che riguarda la religione più sessista al mondo...

che riconosce pieni poteri all’uomo sulla donna.

La battaglia delle femministe indiane

A far scoppiare il caso, e a portarlo in tribunale, è il battagliero gruppo di femministe indiane, che ha fatto della difesa dei diritti delle donne la sua crociata. Per porre fine ad un metodo di divorzio che offre pieni poteri agli uomini musulmani sulle proprie mogli, le femministe si sono rivolte alla Suprema Corte indiana. “Vengono violati i diritti delle donne all’uguaglianza!” è il punto centrale su cui si fonda la loro richiesta di giudizio alla Corte.

La questione su cui i magistrati sono stati chiamati a pronunciarsi non è semplice da giudicare. Come hanno affermato 5 giudici di diverse confessioni religiose: si dovrà decidere se la pratica è “fondamentale” per l’Islam.

Il governo indiano si è già dichiarato in favore dell’udienza, scatenando le opposizioni di gruppi di musulmani, che hanno accusato lo Stato di interferire in temi religiosi che non sono per nulla di sua competenza.

La pratica del 'triplo talaq'

L’uomo musulmano oggi può divorziare dalla propria moglie ripetendo semplicemente, in urdu, “triplo talaq” per tre volte.

Le femministe indiane hanno scoperto che ci sono stati persino casi di divorzio “fai-da-te” tramite messaggi scritti sui social network, come Facebook, e a voce tramite una video-chiamata su Skype. In alcuni casi le nuove tecnologie risultano molto utili anche per gli uomini più tradizionalisti...

Una delle firmatarie della richiesta di annullamento della pratica, Farah Faiz, ha inoltre fatto notare che il triplo talaq non è una forma di divorzio riconosciuta nel Corano.

Tra le leggi contenute nel testo sacro islamico, infatti, non solo non si fa alcun accenno al taraq... ma viene persino riconosciuto alla donna pari diritto di divorzio unilaterale.

Il verdetto finale a giugno

Continueranno fino al 19 maggio le audizioni della Corte Suprema indiana, prima di riunirsi in camera di consiglio. Si prevede che emetterà la sua decisione a giugno.

Un compito non certo facile quello dei magistrati, che sicuramente susciterà molte proteste. Considerando anche che la comunità musulmana in India rappresenta la più ampia minoranza religiosa, costituendo il 13% della popolazione su un 1 miliardo e 200mila abitanti. E tenendo conto del fatto che i musulmani indiani non vivono sicuramente una vita facile.

La comunità islamica soffre i drammi sia dell’esclusione che della marginalizzazione sociale: a dirlo sono indicatori statistici, come l’istruzione e l’occupazione, che risultano tra i più bassi della media nazionale. Le donne islamiche indiane sono, naturalmente, quelle che vengono trattate più ingiustamente. In tema di eredità, matrimonio, famiglia e divorzio, le donne in India sono soggette alla legge islamica, basata sulla Shari’a. Ma a rendere maggiormente drammatica la loro vita, non è tanto la legge coranica, ma l’applicazione dei costumi locali e delle tradizioni, che determinano i diritti ereditari delle donne musulmane in tutta l’India – i quali, neanche a dirlo, sono per la maggior parte a favore dell’uomo...