Questo 22 maggio, il boss Dainotti è stato ucciso da due sicari, con due colpi di pistola alla testa mentre era in bicicletta a Palermo nel popolare e centrale quartiere della "Zisa".

La scena sembra esattamente quella delle guerre di mafia degli anni '80 e '90. Quegli spari non erano "fuochi d'artificio" , come qualche testimone ha raccontato a caldo, ma una vera e propria esecuzione. Un regolamento di conti di primo mattino, a pochi metri da una scuola nei minuti in cui i ragazzini entrano in classe, li a pochi passi e non lontano dal Tribunale.

Un prova di forza che rompe la "pax mafiosa" dopo anni di tregua e soprattutto alla vigila della manifestazione in cui lo Stato si prepara a ricordare, 25 anni dopo, il Giudice Falcone e le vittime della strage di Capaci, dove in seguito a un ordigno di potenza inaudita, morirono oltre a Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini della scorta.

La mafia torna a uccidere a Palermo

Giuseppe Dainotti, 67 anni storico capomafia di Cosa Nostra, era tornato in libertà da 3 anni non senza polemiche. La sua condanna all'ergastolo era sta trasformata nel 2014 in una pena di fatto interrotta dopo 25 anni di carcere, grazie ad una sentenza della Corte di Cassazione e i benefici della legge Carotti, che ha consentito a molti ergastolani di lasciare la prigione.

Per la giustizia a suo carico c'era l'uccisione di Emanuele, capitano dei Carabinieri ucciso a Monreale il 3 maggio del 1980, trucidato insieme ad altri due colleghi dell'arma. Dainotti aveva scontato anche la pena per un'importante rapina al caveau del Banco dei Pegni di Palermo.

Era considerato tra i fedelissimi di Salvatore Cangemi, il super boss poi passato tra i ranghi dei collaboratori di giustizia.

Secondo gli inquirenti era da tempo finito nel mirino di altri mafiosi legati o appartenenti al "Mandamento di Porta Nuova", in lotta per il controllo di traffici di droga, pronti a uccidere per riaffermare nuovi equilibri all'interno all'interno dell'organizzazione che oggi appare in fibrillazione alla ricerca di nuovi "capi".

L'allarme degli investigatori, rilanciato pochi giorni fa dal Questore di Palermo, Renato Cortese, sui boss scarcerati che tornano in campo, non è bastato ad impedire l'esito sanguinoso della faida "uccidere nel centro di Palermo in pieno giorno può avere diversi significati" ha detto il Procuratore LoVoi "quando lo ritiene necessario la Mafia torna a farlo in modo evidente e simbolico".