Si è sfiorata la tragedia nel nome di Allah. Dei fondamentalisti musulmani detenuti nella casa circondariale di Pesaro, hanno protestato perché la cena non era degna del Ramadan - la quantità di olio crudo fornito dal personale del carcere era per i loro gusti insufficiente. Hanno così dato fuoco a tutto quello che era dentro le loro celle e poi minacciato il personale di polizia penitenziaria con dei ordigni rudimentali realizzati con le bombolette del gas che usavano per cucinare. La rivolta è stata prontamente sedata dai poliziotti penitenziari in servizio e dagli agenti liberi, i quali hanno evitato conseguenze più gravi.

Per Donato Capece, segretario generale del SAPPE, i 4 detenuti magrebini responsabili della sommossa devono essere trasferiti da Pesaro perché sono troppo pericolosi.

Fondamentalisti islamici simpatizzanti del Jihad

È successo domenica sera nella III sezione detentiva del carcere, dove vengono detenuti i sex-offender. Ad avviare la sommossa quattro carcerati di origine magrebina, tutti in carcere per reati gravissimi: violenze sessuali, rapina, sequestro, lesioni, minacce, droga ed altri. Le loro condanne, che vanno da un fine pena al 2019 fino a quello massimo del 2026, sono tutte definitive. È bastato un futile motivo ad accendere gli animi: una quantità d’olio servita durante l’ora dei pasti ritenuta insufficiente per onorare il mese sacro del Ramadan.

Il più agguerrito di loro si è sentito offeso e mortificato da quella che ha ritenuto essere, da parte del personale di polizia, una mancanza di rispetto nei loro confronti. Gli altri tre gli hanno dato subito manforte incendiando della carta e gettandola fuori dalle celle nel corridoio. Armato di lamette il capogruppo dei rivoltosi ha dato fuoco a due bombolette avvolte in un cuscino e ha lanciato l’ordigno fuori nel corridoio, mentre cantava delle canzoni in arabo.

“Queste sommosse devono essere stigmatizzate con fermezza – ha dichiarato Capece – e devono essere condannate con forza le violenze come questa avvenuta nel carcere di Pesaro. Questa rivolta è stata commessa nel nome di Allah, ed è la forma più pericolosa e becera di fanatismo integralista islamico. I detenuti pericolosi come questi – ha concluso con grande veemenza il segretario generale del SAPPE – non possono stare in un carcere comune come quello di Pesaro, ma dovrebbe essere trasferiti subito in case circondariali più attrezzate per casi critici”.

Le carceri italiane terreno fertile per gli estremisti

Le carceri italiane ospitano pericolosi inquilini che possono far accrescere le fila dei combattenti di Allah. Come ha spiegato il segretario del SAPPE: “Noi del sindacato, che rappresentiamo tutti gli agenti penitenziari che si trovano in prima linea nelle carceri, conosciamo benissimo cosa vi succede dentro. Abbiamo raccolto tutte le testimonianze degli operatori carcerari e oggi siamo certi che i detenuti già radicalizzati fanno leva sulle debolezze e le crisi dei nuovi arrivati - ha dichiarato Donato Capece – in questo modo i più fanatici selezionano i nuovi volontari mujaheddin che una volta usciti dal carcere vengono inviati nelle aree di conflitto, perché subiscono un vero e proprio lavaggio del cervello ideologico.” Molti criminali comuni, non solo di origine nordafricana ma anche di altre nazionalità, quando entrano in carcere non hanno una particolare fede religiosa, ma vengono trasformati in fanatici dagli altri detenuti già radicalizzati.

“Servono corsi di formazione o aggiornamento professionale - ha affermato il Capece - oppure riaprire le supercarceri di Pianosa o dell’Asinara per confinare questi soggetti pericolosissimi”. Ad oggi i detenuti stranieri ospitati nelle carceri italiane sono oltre 19.200, mentre mancano oltre settemila agenti penitenziari per far fronte alle esigenze carcerarie.