Cerchiamo di capire cosa realmente sta accadendo riguardo l'arte e la cultura in Italia, e perché il Tar ha dato torto a dario franceschini riguardo le sue nomine relative ai direttori di museo figlie di una sua riforma, facendo inalberare il segretario del PD Matteo Renzi ed anche Andrea Orlando, suo competitor alle scorse primarie.

Matteo Renzi: il Tar andava riformato

Matteo Renzi, via Facebook, ha subito tuonato che l'errore programmatico è stato quello di non mutare e riformare il Tar prima del sistema museale italiano. Orlando l'ha seguito a ruota, sostenendo che il Tribunale Amministrativo Regionale andrebbe delegittimato con una riforma.

Secondo Dario Franceschini, invece, l'Italia con questa sentenza fa una pessima figura nel mondo, lasciando sei musei privi di un direttore. Ma è questa la vera storia da raccontare?

Una legge italiana del 2001 prevede, di fatto, che i direttori dei nostri musei siano italiani. Tuttavia è vero che, come ha sottolineato Franceschini, la National Gallery è gestita da un italiano, ma si tratta di un cittadino britannico a tutti gli effetti.

Colloqui brevi e frettolosi: via Skype e a porte chiuse

La sentenza del Tar sostiene che i colloqui effettuati per selezionare i direttori sono stati frettolosi e a porte chiuse, con i diritti dei concorrenti non rispettati: insomma si tratta di qualcosa di grave e di serio.

Il concorso, dunque, potrebbe essere stato una farsa mediatica per comunicare all'opinione pubblica che si stava lavorando seriamente.

La commissione ha avuto nove minuti per leggere e valutare i curricula, e quindici minuti (dato ufficiale) per il colloquio che ha deciso la sorte degli Uffizi o di Capodimonte. Il Tar ha anche contestato come i colloqui orali non fossero aperti anche agli altri candidati (alcuni sono avvenuti via Skype, alla presenza dei soli membri della commissione).

È stata anche contestata la "magmatica riconduzione" del punteggio, dal momento che il candidato veniva condotto ad una "classe" prima del colloquio orale. Nello specifico, coloro che avevano un punteggio da 15 a 20 (il massimo) venivano ammessi alla classe A; quelli che avevano ottenuto da 11 a 14 punti nella classe B, e via dicendo.

Questa distinzione per classi, a detta del Tar, sarebbe stata inutile nell'ottica di una valutazione di merito finale.

Il ricorso è partito da una "candidata alla direzione di Palazzo Ducale e della Galleria Estense di Modena", e di "un candidato al ruolo di direttore di Paestum e dei Musei archeologici di Taranto, Napoli e Reggio Calabria".

Una riforma in Parlamento prima del concorso non era possibile?

A questo punto, ci piacerebbe chiedere perché oggi sia divenuto prioritario lavorare in tempi rapidissimi per creare "movimento" mediatico, quasi come se si fosse in solitudine a postare dei tweet, al punto da non potersi permettere di programmare tavoli di progettazione di riforme che siano a prova di Tar.

In buona sostanza, non sarebbe bastato seguire un regolare iter parlamentare di riforma del sistema museale prima di procedere al concorso d'assunzione dei nuovi direttori di musei? Sembra quasi che l'ottimizzazione e l'utilizzazione del tempo non siano più una cosa sulla quale convenga investire risorse, competenze e professionalità; la priorità è fare in fretta e non più fare bene, ma quanto questo fa realmente bene all'immagine (e all'economia) dell'Italia all'estero?