Il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, nella conferenza stampa tenuta all'indomani dell'arresto di Giuseppe Giorgi, boss di San Luca rimasto latitante per ventitré anni, ha prontamente smentito l'esistenza di prove concrete sul traffico dei rifiuti. Tuttavia, ha aggiunto: "se Giorgi collabora con la giustizia è possibile che ci dia delle indicazioni che ci consentano di ricostruire il traffico di eventuali scorie nucleari".

De Raho non è un magistrato che parla a caso. Comunque sia, il nome di Giorgi è associato al traffico di rifiuti pericolosi per via delle rivelazioni di un pentito, Francesco Fonti che, peraltro, si è autoaccusato dell'affondamento di almeno tre navi che trasportavano fusti radioattivi: si tratterebbe della Voriais Sporadais, della Yvonne A e, infine, della famigerata Cunski.

Fonti, pentito non sempre attendibile: ma i rifiuti tossici esistono

Riguardo ai pentiti, occorre essere prudenti: si tratta di criminali che praticano la menzogna da sempre, capaci di inventare qualunque panzana da vendere come merce preziosa per migliorare la propria posizione rispetto agli organi giudiziari. E i sospetti si moltiplicano quando è un unico avvocato a gestirli: i casi sono tristemente noti. Eppure, il controllo che le cosche esercitano sui territori è così pervasivo da non lasciare dubbi circa un loro ruolo attivo in un traffico molto redditizio e, a rifletterci bene, piuttosto semplice da realizzare: navi fatte saltare in aria e inghiottite dal mare fino a profondità abissali; interramenti nei meandri di località sperdute, inaccessibili, o di vecchie cave abbandonate.

Operazioni veloci, condotte direttamente, o per mezzo di pochi fidatissimi. E dopo, il silenzio, che non serve solo a preservarsi dalla giustizia, ma anche dalle cosche non coinvolte e, soprattutto, dalla popolazione locale. Chi può aver perpetrato una simile macchinazione se non le cosche di 'ndrangheta? In Campania, i clan criminali hanno agito indisturbati per decenni.

Poi si è scoperta la "terra dei fuochi" e il pentito Carmine Schiavone, morto nel 2015 poco prima di essere sentito formalmente proprio dal procuratore di Reggio Calabria Cafiero De Raho, probabilmente per rendere una testimonianza dettagliata, sul tema aveva dichiarato fin dal 1997 l'esistenza di rifiuti tossici anche in Calabria.

Se si accertasse la presenza di rifiuti tossici, sarebbe la fine della 'ndrangheta

Di rifiuti tossici, in Calabria, si parla da oltre vent'anni. I misteri sono tanti e l'elenco di pentiti e collaboratori di giustizia è lungo: da Gianpaolo Sebri (che agiva per conto di un faccendiere lombardo), all'imprenditore italo-svizzero Marino Ganzerla; dal citato Francesco Fonti (trafficante di stupefacenti), al boss Emilio Di Giovine; da Giuseppe Morano (attivo nella Piana di Gioia Tauro), alle più recenti figure di Mattia Fulicanò (trafficante di droga attivo nella provincia di Cosenza), e di Adolfo Foggetti, padrino mancato nel capoluogo bruzio.

Certo, si tratta di figure di secondo piano, spesso dei perdenti che si trovano invischiati in procedimenti giudiziari pesanti.

Ad ogni modo, è difficile che le notizie trapelino con precisione: si pretende di avere nomi, date, luoghi, ma simili informazioni non possono essere diffuse nemmeno negli ambienti criminali. Di qui l'importanza di Giuseppe Giorgi, un padrino che quelle informazioni probabilmente le possiede. Ma se collaborasse e facesse rinvenire le scorie, chi salverebbe la 'ndrangheta dalla riprovazione generale dei suoi stessi affiliati e sostenitori? Quelle stesse persone che si sono prodigate in plateali baciamano al boss, facendo da minacciose ali ai carabinieri mentre arrestavano Giorgi cinque giorni fa a San Luca, in terra d'Aspromonte, laddove ebbe inizio il traffico dei rifiuti tossici nei primi anni '80, con Giuseppe Nirta e gli altri capi delle cosche della provincia di Reggio Calabria.