È molto malato Salvatore (Totò) Riina, un male incurabile lo sta divorando; per cui la cassazione ha deciso che ha diritto ad avere una morte dignitosa. Un atto di misericordia umana che trova però in pochissimi d’accordo con la Suprema Corte. Non lo sono i familiari delle vittime di stragi e delitti di mafia, non lo sono nemmeno gli avvocati di Bernardo Provenzano, morto in carcere lo scorso anno proprio a causa di una malattia. Condannato ad oltre duemila anni di carcere, il boss dei boss (o Capo dei capi, ribattezzato così in seguito ad una fortunata fiction) ha ormai 86 anni e un cancro che non gli lascerà scampo.

Ma per la maggior parte dell’opinione pubblica non ha alcun diritto alla pietà umana, troppi i lutti, gli strazi e i dolori, di cui è responsabile, tra cui un bambino di soli 9 anni sciolto nell’acido, crimine così atroce che nessuno gli ha mai perdonato.

Una lunga lista di delitti e di stragi

Ha ucciso e fatto uccidere uomini, donne e bambini; tanti, tantissimi e senza alcuno scrupolo. Giustiziati direttamente da lui, soprattutto in giovane età, quando iniziò la sua carriera di carnefice a soli 19 anni, ammazzando in una rissa un suo coetaneo, ma la maggior parte sono ‘trapassati’ per mano dei suoi sicari quando è diventato il boss indiscusso di Cosa Nostra. Bombe, stragi ed esecuzioni sommarie, il curriculum vitae di Salvatore Riina è molto corposo.

Molti nomi eccellenti sono finiti sotto la mannaia di Totò, tra cui i più sconvolgenti Carlo Alberto Dalla Chiesa nel 1982 e Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992. Una lista troppo lunga per essere contenuta in un articolo giornalistico e troppo dolorosa per essere cancellata da un atto di pietà giudiziaria. Almeno così la pensano i diretti interessati e la maggior parte dell’opinione pubblica.

La notizia che la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai legali del Capo dei Capi di Cosa Nostra e ha chiesto al Tribunale di sorveglianza di Bologna di motivare meglio le ragioni del diniego per la richiesta di scarcerazione di Salvatore Riina, è rimbalzata durante la giornata su tutti i palinsesti e aperto discussioni animate sui social network.

Ma soprattutto ha riaperto ferite profonde nei cuori dei familiari delle vittime.

Le stragi degli anni ‘80–’90 e la trattativa con lo Stato

Chi potrà mai scordare le stragi compiute dalla Mafia che si sono susseguite dalla fine degli anni '70, per buona parte degli anni ‘80 e nei primi anni ’90? Oltre ai quintali di tritolo che hanno fatto saltare in aria Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta sull’autostrada Palermo-Capaci, e in via Mariano D’Amelio Paolo Borsellino e altri 5 agenti, ci sono quelle di Firenze e Roma. La vittima più piccola della strage nella città toscana aveva solo pochi mesi e la sua morte aveva sollevato l’indignazione di tutti. E l’indignazione si è moltiplicata quando si è scoperta la trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato italiano proprio per porre fine alle bombe e alle stragi, un pezzo di storia di cui ancora non abbiamo una visione totale, perché ancora troppo poco è trapelato e Riina non ha mai parlato.

La parte malata delle istituzioni rende ancora più fitta la rete di intrighi e legami che i capi mafia avevano intessuto negli anni. Con le stragi degli anni ’90, infatti, la dichiarazione di guerra della Mafia allo Stato avrebbe visto la prima come vincitrice, se il capo dei capi non fosse stato catturato il 15 gennaio 1993, dopo 30 anni di latitanza. Ma ora che la decisione della Cassazione è arrivata come un fulmine a ciel sereno si fanno anche i conti con il potere di Riina, che nonostante il 41bis e la malattia continua a dare ordini ed a comminare sentenze di morte. Come quella comminata dal carcere contro il Pubblico ministero Nino di Matteo, che da allora vive sotto scorta.