L'America ha perso, ma in estremo oriente è ormai una consuetudine storica. Donald Trump ha cercato di rialzare il suo braccio, piegato dal dittatore nordcoreano Kim Jong-un. Difficile possa riuscirci, a meno di far volare i suoi missili e con il rischio di scatenare un disastro nucleare che coinvolgerebbe inevitabilmente i Paesi vicini. Al di là di Corea del Sud e Giappone, tra i vicini della Corea del Nord ci sono anche Russia e Cina. Nessuno, nemmeno Trump, sarebbe così avventato. Pyongyang non rinuncerà al nucleare ed anche Washington, stando alle parole di una vecchia volpe della 'diplomazia scomoda' come Suzanne DiMaggio, ne è consapevole.

Il giovane leader asiatico sostiene che dalla dotazione di armi nucleari dipende la sopravvivenza del suo Paese. C'è del vero in questo, se Saddam Hussein e Mu'ammar Gheddafi sono stati deposti ed uccisi in Iraq e Libia, è solo perché non erano dotati di arsenali come quello della Corea del Nord. Pertanto, se non lo si può convincere mostrando i muscoli, inutilmente perché Kim non si lascia intimidire dalle esercitazioni militari a pochi passi dal suo confine, c'è la possibilità di ottenere un accordo che sia vantaggioso per il regime. I fans di Trump sparsi per il mondo - per fortuna sempre meno, anche se sembrano una folla oceanica a giudicare da ciò che passa sui social - ci resteranno un pò male, ma è l'unico modo pratico per risolvere la questione e lasciare le cose così come sono da oltre 60 anni, da quando è stato firmato l'armistizio della Guerra di Corea.

L'accordo ai tempi di Bill Clinton

Il braccio di ferro tra gli Stati Uniti ed il piccolo Stato comunista della penisola coreana è di vecchia data ed è iniziato con la Guerra di Corea degli anni '50, anche se all'epoca veniva visto da Washington come un palese contrasto alla politica aggressiva di URSS e Cina. Tutti i presidenti che si sono dati il cambio alla Casa Bianca negli ultimi 60 anni hanno avuto tra le mani la patata bollente nordcoreana e tra questi, certamente Bill Clinton aveva trovato un accordo 'sporco' che aveva però tenuto a freno il regime di Pyongyang.

Accadde nel 1994, un anno particolare per la Corea del Nord in cui morì lo storico leader Kim Il-Sung e lasciò il testimone nelle mani del figlio, Kim Jong-il. All'epoca, l'amministrazione Clinton propose forniture petrolifere nei confronti di Pyongyang oltre ad un reattore nucleare. In cambio, la Corea del Nord rinunciò a sviluppare ulteriormente il proprio programma atomico per scopi bellici.

In realtà Kim Jong-il non rinunciò mai del tutto ad elaborare tecnologie militari basate sulla lavorazione dell'uranio, non lo fece ovviamente alla luce del sole, ma l'arsenale del Paese asiatico non fu comunque incrementato a differenza di quanto avvenne durante il primo mandato di George W. Bush e per i successivi, fino ad arrivare all'ultima amministrazione guidata da Barack Obama.

La Cina non abbandona Pyongyang

Altra mossa decisamente fuori luogo da parte di Donald Trump è stato il tentativo di esercitare pressioni sulla Cina, anche con le cattive maniere (il giro di vite verso molte aziende cinesi che operano sul mercato americano). L'obiettivo è quello di 'costringere' Pechino ad inasprire le attuali sanzioni nei confronti della Corea del Nord.

Sebbene la Cina sia contraria alla politica aggressiva del regime di Pyongyang, non farà mai nulla che possa metterne a rischio l'esistenza. Xi Jinping dialoga con Trump, ma rimane il leader di una potenza rivale degli States. L'ultima cosa che Pechino vuole è una Corea riunificata sotto l'influenza di Washington. Pertanto, se è vero che la Cina ha in mano parecchie carte per convincere Kim a destistere dalle continue provocazioni, è altrettanto vero che non le userà mai fino in fondo.

La soluzione diplomatica

L'unica soluzione, pertanto, è quella di insistere sulla via dei dialogo e concedere al dittatore nordcoreano la soddisfazione di una minor presenza americana nella penisola e nelle acque circostanti.

In cambio, Kim Jong-un dovrebbe sospendere qualunque test missilistico, senza per questo rinunciare al possesso delle armi atomiche. Di fatto, non risolverebbe del tutto il 'problema Corea del Nord', ma permetterebbe di rinviarlo per un termine più o meno lungo. Magari per altri 60 anni, alla fine quella coreana non è certamente l'unica questione internazionale di lunga data ed è risaputo che le soluzioni a queste tipologie di crisi non sono mai definitive. Usare la forza talvolta è risolutivo, ma finisce per creare altri problemi, come la crescita del fondamentalismo islamista in Medio Oriente e Nord Africa dopo il crollo dei regimi. In fin dei conti la diplomazia non risolve del tutto i problemi, ma permette di conviverci.