Donald Trump e Vladimir Putin raggiungono l'accordo per la tregua in Siria. Detta così, è un 'fake' di dimensioni colossali. Quella discussa e concordata nel corso del bilaterale tra i due leader, svoltosi a margine del g20 di Amburgo, è un contentino, una 'mini-tregua' utile su entrambi i fronti ed è limitata esclusivamente ad una regione. La zona sud-occidentale della Siria godrà dunque di un cessate il fuoco che entrerà il vigore il 9 luglio, ora di Damasco. Allo stesso modo saranno consentiti gli ingressi degli aiuti umanitari. Non c'è nulla di epocale in questo, anche perché nella zona in questione è già in atto una tregua, da qualche giorno, decisa dal governo di Damasco in vista del nuovo round di colloqui ad Astana, il quinto della serie, andato in atto praticamente alla vigilia del G20.

'Mini-tregua' in Siria, le motivazioni di USA e Russia

Lo scorso 3 giugno, pertanto, il governo di Bashar al-Assad aveva sospeso per cinque giorni qualunque attività bellica nella regione di Daraa, in parte controllata dai ribelli. Occorre precisare che una tregua più ampia tra Damasco ed i ribelli cosiddetti 'moderati' è in atto dallo scorso dicembre e, seppure piuttosto ambigua in alcune zone del Paese, ha comunque tenuto. Il comando militare siriano ha proseguito le proprie operazioni belliche contro l'Isis e contro le altre milizie jihadiste che compongono un fronte degli insorti quantomai frastagliato e di difficile interpretazione. La quasi impossibilità di distinguere i gruppi moderati da quelli islamisti di ispirazione qaedista è sempre stata palese.

Ad ogni modo la tregua concordata dai presidente di Stati Uniti e Russia conviene ad ambo le parti. Washington in questo modo tutela due alleati strategici, Israele e Giordania, i cui territori confinano con la zona in questione e pone fine alle tensioni accumulate tra Tel Aviv e Damasco, dopo che l'esercito israeliano aveva risposto ai colpi di artiglieria finiti accidentalmente nel territorio del Golan.

Visto con gli occhi di Mosca, il cessate il fuoco è utile in vista di ciò che sarà concordato al tavolo di Astana. L'opposizione siriana, in particolare, aveva condizionato la propria presenza al quinto round di colloqui all'interruzione dei bombardamenti governativi.

Ad Amburgo è stato sancito ciò che era già in atto

Pertanto, ciò che è stato sancito da Trump e Putin e dato in pasto ai media, non è altro che il prosieguo di una tregua già in atto, decisa dal presidente siriano Assad su espressa richiesta di Mosca.

L'obiettivo degli Stati Uniti, secondo quanto prospettato dal segretario di Stato, Rex Tillerson, presente all'incontro insieme al suo omologo russo, Sergej Lavrov, è quello di estendere la tregua anche ad altre zone della Siria. A prima vista è difficile che ciò avvenga, le forze governative siriane dopo la rinconquista di Aleppo e Palmira, hanno bonificato diverse zone del Paese ed ora puntano con decisione verso Deir ez-Zor, da anni sotto assedio da parte dei miliziani dell'Isis che, oltretutto, sono nel mirino dei bombardieri russi ed hanno anche subito un attacco senza precedenti, il primo raid missilistico iraniano dalla fine della cruenta guerra con l'Iraq degli anni '80. L'area sarà presto sotto il controllo di Damasco.

Sarà cura di Stati Uniti e Russia, alla luce del dialogo aperto tra i due presidenti, evitare possibili incidenti come quelli già accaduti nella provincia di Raqqa, dove le milizie della coalizione a maggioranza curda a guida USA e l'esercito di Assad sono pericolosamente vicini. La tensione tra le due superpotenze che stava raggiungendo i massimi livelli dopo l'abbattimento di un jet siriano da parte di un caccia statunitense, sembra stemperata. Peccato che Trump, fino a pochi giorni prima dell'incontro con Putin, aveva minacciato Damasco e, addirittura alla vigilia del summit, aveva attaccato pesantemente la Russia. Il trasformismo è un'arte che il presidente americano conosce bene, così come Putin è un maestro nell'arte della diplomazia.

Il contentino sulla Siria è servito, ma le posizioni restano distanti. Washington non prende in considerazione una soluzione politica in Siria che preveda la presenza di Assad; Mosca non rinuncerà a cuor leggero ad un prezioso alleato strategico e la prospettiva di un'elezione democratica, fortemente voluta dal Cremlino, alla quale partecipi anche l'attuale presidente, è tutt'oggi quella più probabile.