Con l'Isis si è aperta una pagina di cronaca nera, una terribile pagina di storia che non si sa come e quando si concluderà. Lo Stato islamico (Isis, appunto) è il nome di un'organizzazione jihadista attiva in Siria e in Iraq e le sue radici affondando nel 1989, quando giunge in Afghanistan un islamista giordano, Abu Musab al Zarqawi, il quale diventa un proselito di Osama Bin Laden e dopo la sconfitta dei talebani, nel 2001, fugge in Iraq. Nel 2004 fonda "Al Qa'ida in Iraq", un nome che ha una duplice accezione: da un lato indicava l'alleanza con Al Qaeda e dall'altro presupponeva che lo Stato islamico agisse soltanto in Iraq.

L'obiettivo dell'Isis è unificare Siria e Iraq in unico stato islamico e combattere il governo iracheno sciita dopo il rovesciamento di Saddam Hussein, destituito dalla sua carica di leader assoluto dell'Iraq durante la seconda guerra del Golfo, in seguito all'invasione anglo-americana. Insomma, lo scopo è ridefinire i confini del Medio Oriente. La conquista dei territori iracheno e siriano ha fatto sì che i militanti si muovessero lungo il Tigri e l'Eufrate, due fiumi che, come insegna la storia, hanno avuto un'importanza fondamentale per quelle antiche civiltà abitatrici della Mesopotamia che hanno realizzato i primi grandi insediamenti.

Nascita del Califfato

Il 29 giugno 2014, Abu Bakr Baghdadi, il suo capo, detto il "Califfo dei musulmani", nato nel 1971 in una città irachena di Samarra, proclama la nascita di un califfato nei territori che sono sotto il suo controllo e che si estendono tra la Siria nord-orientale e l'Iraq occidentale, la cui vastità è di 35 chilometri quadrati.

Le prime terre ad essere conquistate dal califfo sono Mosul, Tikrit e la raffineria di Baiji: le case vengono saccheggiate, le banche rapinate e vengono attuate molteplici esecuzioni.

Il 2 marzo 2015 è il giorno in cui l'esercito iracheno spinge per una prima controffensiva in modo da riprendere il controllo di Tikrit e, successivamente, di Mosul.

Si conteggiano circa 30mila combattenti aderenti, volontariamente o involontariamente, alla causa per essere integrati nell'Isis. Tremila di essi, che combattono in Siria e in Iraq, sono europei. Siffatti combattenti erano, perlopiù, ragazzi in cerca di lavoro, partiti dai paesi europei, in particolare Francia, Belgio e Gran Bretagna, senza dimenticare la Spagna, attratti dalla jihad.

Nella capitale, Raqqa, la popolazione viene controllata con la forza da uomini e donne armati.

Chi finanzia l'Isis?

Lo Stato islamico è il gruppo terroristico più dovizioso del mondo: infatti, esso ha un guadagno di circa 3 milioni di dollari al giorno grazie non solo al business del petrolio e al controllo dei pozzi petroliferi situati in Siria e in Iraq, bensì anche alle rapine nelle banche e al sistema delle estorsioni. Tuttavia, molti sono indotti a credere che l'Isis si avvalga di altre forme di finanziamento, ovverosia di donazioni private da parte di Arabia Saudita, Kuwait e altri stati del Golfo, in quanto deve affrontare ragguardevoli e cospicue spese per combattere la sua guerra con mezzi tecnologicamente avanzati.

La guerra condotta dall'Isis è religiosa o economica?

Per reclutare sempre più soggetti, per far sì che la sua propaganda raggiunga il maggior numero di persone, l'Isis si serve sia di Internet con i Social Network, Youtube e Blog, sia di alcuni gadget, come magliette e riviste. Difatti, lo Stato islamico si è fatto conoscere attraverso la diffusione di video che mostrano l'uccisione di ostaggi arabi e occidentali. Addirittura, per aumentare i proseliti, i militanti distribuiscono caramelle e gelati ai bambini per le strade o negli ospedali.

Ad essere reclutati, e che negli ultimi tempi hanno sferrato attacchi contro l'Europa - ricordiamo Parigi, Nizza, Berlino, Londra e il 17 agosto scorso Barcellona - sono ragazzi figli di genitori immigrati spinti da rabbia e risentimento - in una sola parola dall'emarginazione - perché trattati come dei diversi per la loro cultura, la loro religione o per il colore della loro pelle.

In 2 anni, l'Isis ha ucciso 10mila persone, siano esse militari o civili, perché il Corano, al quale si attiene fedelmente, giustifica le uccisioni, gli stupri e la riduzione in schiavitù. Allora, il motto di Abu Bakr al Baghdadi è: chi non si adegua va eliminato.

Per cercare di capire se la guerra condotta dallo Stato islamico abbia un movente religioso o economico, nel testo "Jihad. Significato e attualità", la professoressa Silvia Scaranari studia che il compito di ogni fedele islamico è di uniformare l'umanità al volere di Allah e, allora, la jihad (termine che indica una "guerra santa" o, anche, uno "sforzo personale", può essere dell'animo (ossia interiore), della parola (la verità), la mano (che simboleggia l'aiuto per promuovere il bene e allontanare il male) e la spada (guerra contro l'infedele).

Tuttavia, le guerre combattute dai musulmani - afferma la Scaranari - sono tutte diverse perché rivolte a persone diverse e per motivi differenti: la guerra contro i cristiani, gli ebrei, il commercio, gli sciiti e i sunniti.