Firenze è divenuta la prima città italiana ad istituire il reato di prostituzione. È questo il polemico giudizio dato dallo scrittore e giornalista Massimo Fini nei confronti dell’ordinanza emessa qualche giorno fa dal sindaco Pd del capoluogo toscano, Dario nardella. La nuova norma firmata dal primo cittadino gigliato, istituisce il divieto di richiedere o fornire prestazioni sessuali a pagamento all’interno del territorio comunale. Per i trasgressori, ovvero gli sfortunati clienti che verranno pizzicati in prossimità di una operatrice del sesso, previste multe fino a 200 euro (con invio del verbale a casa per la felicità di mogli e fidanzate) e, addirittura, pene detentive fino a 3 mesi.

Sanzione che verrà applicata anche in caso di mancata consumazione del rapporto sessuale. Oltre al danno la beffa. E, allora, il noto scrittore non ci sta. Prende carta e penna virtuali per scrivere un articolo, pubblicato dal Fatto Quotidiano, in cui tesse l’elogio del mestiere più antico del mondo: la prostituzione.

Fini spiega la legge Merlin

Allo scopo di smontare la legittimità legale dell’ordinanza del sindaco di Firenze Nardella, Fini cita la legge Merlin del 1958 (dal nome della prima firmataria, la senatrice socialista Lina Merlin). La Merlin, tuttora in vigore, fu istituita allo scopo di “eliminare i casini di fascistica memoria” e di “togliere allo Stato il ruolo di tenutario legale della prostituzione”.

Vero che introduceva nel codice penale nuovi reati come l’induzione, lo sfruttamento e il favoreggiamento del meretricio ma, aggiunge Fini, “non proibiva e non proibisce” l’esercizio della prostituzione basandosi sul contenuto dell’articolo 13 della Costituzione: “La libertà personale è inviolabile”. La Merlin, infatti, punisce solo gli sfruttatori, i cosiddetti “protettori” e “magnaccia”.

Dunque, sostiene il giornalista milanese, in passato gli amministratori locali che si erano messi in testa di vietarla avevano dovuto ricorrere al ‘trucco’ delle multe ai clienti per “intralcio al traffico”. Perché non si può punire chi offre il servizio, né tantomeno il cosiddetto “utilizzatore finale” (qui Fini cita l’avvocato di Berlusconi Niccolò Ghedini).

Ognuno in Italia ha diritto di vendere il proprio corpo e la propria dignità.

Breve storia della prostituzione

Dopo il passaggio sulla Merlin, Massimo Fini decide di fare un breve excursus storico su quello che anche lui definisce il “mestiere più antico del mondo”. All’epoca dei Latini, dei Romani, pagani e non religiosi, “meno ipocriti e sessuofobi di noi”, a quelle che erano definite “etere” veniva riconosciuta una “funzione sociale”, in quanto fornivano anche “supporto affettivo” al cliente di turno. Il salto temporale ci porta poi fino all’Italia del secondo dopoguerra, dove i casini pre Merlin rappresentavano l’unico modo per i giovani di praticare sesso “non masturbatorio”, perché le ragazze di solito “non la davano”.

Diverso e molto raro, racconta Fini, il caso della “nave scuola”, ovvero della donna quarantenne e sposata (oggi si chiamerebbe milf) che si intratteneva gratuitamente con i giovanissimi. Dagli anni ’60 del ‘900, poi, con la “liberazione sessuale”, per i giovani è stato tutto più facile. Ma non per i vecchi, almeno quelli che non sono “ricchi sfondati”. Per concludere, scrive Fini, noi viviamo in una società “solo apparentemente libera” che si dimostra “profondamente cattolica senza essere cristiana”, dove quasi tutto viene proibito (alcol, fumo, droghe, sesso). E allora, chiosa lo scrittore, “lasciateci, perdio, almeno andare a putt*ne”.