Dopo gli avvenimenti del 26 agosto a Rimini, la Questura di Rimini ha messo subito al lavoro un team di investigatori per risalire al cosiddetto 'gruppo selvaggio' che quella notte aveva stuprato una ragazza ed una transessuale, e picchiato un ragazzo, lasciandolo a terra svenuto. La situazione sembrava difficile da risolvere, le forze dell'ordine sono entrate in azione repentinamente, ma il gruppo si era già dileguato e aveva lasciato alle sue spalle due ragazze stuprate, e probabilmente erano già pronti a commettere altre violenze.

La polizia si è ritrovata con molto poco in mano con il quale operare, ma nessuno si è rassegnato e non ha lasciato trasparire la preoccupazione di non riuscire nell'operazione di cattura.

Le poche informazioni che avevano si sono fortunatamente rilevate sufficienti, ma è stato soprattutto grazie all'impiego di capacità umane e di alta tecnologia che si è arrivati all'arresto dei quattro giovani di origine africana. L'equipe in totale ammontava a 30 agenti, 15 poliziotti della squadra mobile di Rimini e altrettanti esperti inviati dalla Capitale in soccorso della piccola questura della città.

La testimonianza delle vittime

La polizia si reca in primis all'ospedale della zona dove incontra le tre vittime delle violenze. I due ragazzi polacchi non conoscono bene l'italiano ed è necessario un interprete, mentre la trans sudamericana conosce bene la lingua e da lei arriva la prima descrizione del gruppo, quattro ragazzi, un ventenne e tre minorenni, tutti di origine africana, dato il colore della pelle.

A collegare le due violenze è la presenza della macchina fotografica della coppia tra i rovi dove la trans è stata ritrovata.

Le telecamere di sicurezza danno un volto ai colpevoli

Nel tragitto tra il bagno dove la ragazza polacca è stata stuprata e la statale adriatica dove la transessuale è stato trovato delle telecamere di sicurezza inquadrano quattro ragazzi di colore muoversi per la città in gruppo, che possibilmente rispecchiano la descrizione ricevuta dalle vittime.

La polizia crea un insieme di 75 fotosegnaletiche che somigliano alla descrizione fornita e quanto visto dalle telecamere, per dare un nome ai colpevoli. Sfortunatamente nessuno del 'gruppo selvaggio' è fra quei 75 pregiudicati. La ricerca dei fantasmi riprende.

I ragazzi polacchi, attraverso un ambasciatore del loro stato, richiedono alla polizia la possibilità di tornare in patria, e portare con loro la macchina fotografica contenente le foto del viaggio, cosa che però risulta impossibile.

Il questore, però, provvede allo sviluppo delle foto all'interno della macchina, di cui consegnerà una copia alla giovane coppia. La svolta è proprio fra queste foto, un fotogramma infatti contiene il viso di tutti i ragazzi colpevoli delle violenze, e in accordo con il magistrato la foto viene diffusa pubblicamente.

Due dei quattro ragazzi, di nazionalità marocchina, capiscono di essere con le spalle al muro, e si consegnano volontariamente alla Polizia. Il terzo minorenne viene preso grazie alla confessione dei due marocchini ed in ultimo, il capo banda, nigeriano, viene intercettato grazie ad un uso improprio del suo cellulare e catturato anch'esso. L'impresa che inizialmente sembrava impossibile si è conclusa con un grande successo da parte delle forze dell'ordine e giustizia è stata fatta.