Il 13 luglio scorso moriva Bernardo Provenzano, detto 'u zu Binnu, oggi è morto Totò Riina, detto 'u curtu. Da oggi i vertici di Cosa Nostra, quelli della mafia dei corleonesi, non esistono più. Dopo quasi 30 anni di stragi, omicidi, intimidazioni, traffici, dopo quasi altri venti di latitanza, entrambi i boss di Cosa Nostra hanno smesso di incutere timore, ma non di nascondere segreti. Quelli se li sono portati nella tomba. Ma come è arrivato Totò Riina a scalare i vertici di Cosa Nostra, partendo da un piccolo comune alle porte di Palermo?

Riina nasce a Corleone il 16 novembre 1930 e rimane orfano di padre a soli 7 anni.

Stringe già in giovane età rapporti con il mafioso Luciano Liggio, capomafia locale, di cui diverrà il braccio destro. Commette il primo omicidio a 19 anni, uccidendo un coetaneo, riceve per questo una condanna a 12 anni di carcere. Quando esce dal carcere, però, non cerca la via della redenzione, anzi. Viene ben presto arruolato da Liggio e diventa uno dei suoi bracci armati.

Nel 1958 il gruppo mafioso di Liggio uccide il medico e boss di Corleone Michele Navarra, e azzera tutto il gruppo al suo seguito. Liggio prende quindi il posto di Navarra come capomafia locale, e Totò diventa il suo braccio destro. Ma la nuova carriera presto subisce un arresto. Fermato dai carabinieri e trovato in possesso di una carta di identità falsa e di una pistola, Riina vede riaprirsi davanti agli occhi le porte del carcere dell'Ucciardone nel 1963, uscendone solamente nel 1969.

Riina non poteva rientrare a Corleone, essendo stato condannato al soggiorno obbligato lontano dalla Sicilia. Ma Totò non lascerà mai l'isola, dando il via ad una latitanza durata 24 anni, conclusa con l'arresto nel 1993. Da questo momento, quindi, Riina e Provenzano iniziano ad eliminare chiunque si frapponesse tra loro e i vertici della Cupola.

Prima uccidono il boss Michele Cavataio e quattro suoi uomini in quella che sarà ricordata come la strage di viale Lazio.

Negli anni '80 Riina e gli uomini di Corleone che lo seguono nella sua ascesa criminale compiono il grande passo: inizia il periodo della droga, delle speculazioni edilizie, degli affari con le banche e dei delitti di lupara bianca.

Da qui ha inizio la seconda guerra di mafia. In pochi anni cadono prima Bontade e poi Totuccio Inzerillo, i cui parenti sono costretti a fuggire negli Stati Uniti per non essere massacrato da colui che, in quegli anni, si era meritato anche il soprannome di Belva. Sono anche questi gli anni dell'alleanza con l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, colui il quale aveva permesso il tristemente noto Sacco di Palermo.

E' il 23 maggio 1992 quando un pezzo dell'autostrada che collega Palermo a Mazara del Vallo viene fatto saltare in aria, nei pressi dello svincolo di Capaci. Perde la vita in questo attentato il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Falcone stava per essere nominato superprocuratore antimafia a Roma, e avrebbe reso ancora più difficili le cose al boss di Cosa Nostra Riina.

Nemmeno due mesi dopo, anzi, 57 giorni dopo, il 19 luglio 1992, Riina fa saltare in aria mezza via D'Amelio, uccidendo il giudice Paolo Borsellino che si era recato dalla madre per farle visita. Morto anche Borsellino, Riina si credette convinto di aver sconfitto il pool antimafia e di avere campo libero. In questo periodo pare sia iniziata la famosa trattativa Stato-Mafia, per porre fine a quelle che furono rinominate Stragi del Continente.

Riina scrisse quello che passò alla storia come Il Papello, un documento in cui, con l'intermediazione dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, chiedeva una profonda revisione delle pene comminate durante il maxi processo, a rivedere le condizioni di detenzione dei carcerati al regime di 41 bis e alla cancellazione della legge sui pentiti.

Ma Totò non riuscirà a beneficiare delle sue richieste: il 15 gennaio 1993 gli uomini del Ros guidati dal Capitano Ultimo, pongono fine alla sua ventennale latitanza. Dei boss di Cosa Nostra, restava libero solo Bernardo Provenzano, arrestato solo nel 2006.

Dal 1993 Riina era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Parma, da cui non è più uscito, se non per recarsi nelle aule di tribunale dei processi che lo vedevano alla sbarra e per recarsi, sempre più spesso negli ultimi anni, nel reparto per detenuti dell'Ospedale Maggiore di Parma. Nei mesi scorsi i suoi avvocati avevano richiesto per lui la detenzione domiciliare, a causa del suo sempre più fragile stato di salute, ma la richiesta è stata fermamente respinta dai giudici.