Quando è stato fermato, era a svagarsi in un centro estetico. Come se non fosse accaduto nulla. Aveva massacrato Fadhel Hamdi, un tunisino di 32 anni, nella sua abitazione di piombino: gli aveva sparato tre colpi di pistola e, dopo averlo legato al letto, lo aveva dato alle fiamme. Marco Longo, guardia giurata di 33 anni, dopo che la procura di Livorno ha disposto il fermo per pericolo di fuga, prelevato in un blitz congiunto di polizia e carabinieri nell'eventualità potesse essere armato, ha confessato il suo atroce crimine. Scatenato da un debito per un telefonino del valore di 5 o 600 euro che il tunisino non aveva saldato.

Una storia ignobile

Gli inquirenti sono risaliti alla guardia giurata, dopo aver controllato il giro di frequentazioni della vittima che abitava a Piombino e che era da poco uscita dal carcere per spaccio di droga. Pare avesse il rimorso per ciò che aveva fatto la guardia giurata di nome Longo, di origine siciliana, un passato da tossicodipendente, dal quale si era riscattato disintossicandosi e diventando guardia giurata. Però se ne stava in un centro estetico a curare la sua persona,quando è stato bloccato. Una volta fermato dai carabinieri e portato in caserma, inchiodato alle sue responsabilità, davanti alla pm Fiorenza Marrara, ha dovuto ammettere il crimine di cui si era macchiato. Per sua mano, al tunisino Fadhel Hamdi, è toccata una fine orrenda: l'ha ucciso con tre colpi di pistola, due al petto mentre era ancora in piedi, e uno alla testa.

Quest'ultimo, ha trapassato il cranio e Longo ha recuperato il proiettile, per far sparire le prove. Poi, dopo averlo legato al letto della sua abitazione, ha bruciato il tunisino credendo in questo modo di far scomparire ogni traccia del suo crimine. Come in una vera e propria esecuzione, ha lasciato sugli occhi della vittima delle monete, ultimo sfregio, beffarda irrisione verso colui che aveva "sgarrato" non onorando un debito, e insieme modo di depistare le indagini.

A scoprire il cadavere, martedì scorso, sono stati i vigili del fuoco chiamati a spegnere quello che sembrava un incendio accidentale. Davanti ai loro occhi, una scena agghiacciante: il cadavere carbonizzato ancora legato al letto, con una profonda ferita alla testa, e quelle macabre monete sugli occhi di cui Longo ha indicato il taglio, venti centesimi.

Il movente

Tra i due che si conoscevano da tempo, c'era stato un grosso litigio. Longo era andato a casa della vittima, con l'intenzione di riprendersi questo cellulare. Però c'è andato armato di una Beretta 7.65, modificata con un silenziatore artigianale, ben sapendo che il suo contendente era armato di coltello. Alla pm, Longo ha raccontato di aver cercato a lungo il cellulare dopo l'omicidio, e di aver deciso di dare fuoco al tunisino dopo averlo trovato, perché il crimine non potesse in nessun modo essere associato a lui. Ma perché l'abbia legato e gli abbia coperto gli occhi di monete, non è stato in grado di spiegarlo. Approfondendo la cerchia di amicizie della vittime, il nome di Longo, incensurato, eccetto un precedente per guida in stato d'ebrezza, è saltato fuori quasi subito e, dopo che sono state sentite alcune persone, gli inquirenti sono andati a cercarlo.

Restano da chiarire ancora alcuni elementi della vicenda. Longo che ha moglie e due figli, aveva detto al tunisino che non voleva avere più niente a che fare con lui una volta uscito di prigione. Ora è il fermato, dopo la confessione, ad esser stato trasferito in carcere, quello di Livorno. Il movente, però, non convince del tutto gli inquirenti: forse c'è dell'altro.