Nel corso della puntata di domenica 12 novembre il programma tv Le Iene ha mandato in onda un servizio dedicato alla moda italiana e non solo: la iena Boschin è partita dalla notizia degli ultimi giorni sugli strani messaggi trovati in alcuni capi di abbigliamento del noto marchio spagnolo Zara su cui alcuni operai affermavano: "Ho fatto questo capo che stai per comprare, ma non sono stato pagato". Dopo questa tragica scoperta subito l'azienda si è scusata ed ha affermato che si impegnerà affinché ai suoi lavoratori venga applicato un trattamento equo e dignitoso.

Ma non è l'unica: la iena Boschin è volata fino in Bangladesh per raccontare una triste realtà.

La manodopera a bassocosto in Bangladesh

Siamo a Dhaka, il centro industriale del Bangladesh: qui ci sono tantissime fabbriche tessili che producono prodotti di abbigliamento per marchi di tutto il mondo. I dati parlano chiaro: nel settore lavorano 4 milioni di bengalesi e l'80% delle esportazioni riguardano il settore tessile. Ma per vedere da vicino cosa si nasconde dietro le magliette e i pantaloni che acquistiamo nei nostri negozi italiani, la iena Boschin si è finta una piccola imprenditrice italiana interessata a trasferire la produzione in Bangladesh. Qui le è stata mostrata una vera e propria fabbrica in cui ha ritrovato proprio quei pantaloni visti in un negozio a Milano: si parte dal quinto piano con gli uffici amministrativi per poi scendere più in basso fino al piano terra dove la manodopera è quella dei bambini che lavorano ore e ore al giorno, ripetendo sempre le stesse azioni di fronte a macchinari vecchi e pericolosi, privi di ogni protezione e mascherine, per guadagnare al massimo un euro al giorno.

Nei vari piani di questa fabbrica gigantesca e diroccata ha incrociato uomini e donne, intenti a cucire davanti a macchine da cucire rumorose e pericolose: ciò che più l'ha spaventata è stato il tremolio del pavimento. In effetti, se si sommano le vibrazioni delle macchine con il peso delle stesse e delle persone che ci lavorano (in quella fabbrica si contavano 1500 persone), il rischio di crollo è molto alto.

Non è una novità in Bangladesh: quattro anni fa una fabbrica molto simile a quella visitata dalla Boschin è crollata, provocando la morte di 1129 persone e il ferimento di altre 2500 persone. Una vera e propria strage causata dalla mancanza di messa in sicurezza degli edifici, ma soprattutto dal desiderio sfrenato di ricchezza delle multinazionali di abbigliamento internazionale.

La differenza di prezzo

Sempre prendendo come esempio quei pantaloni acquistati a Milano presso una catena italiana di abbigliamento casual (dalle immagini dei negozi e delle etichette è facile capire di quale marchio parliamo), la Boschin ha fatto un confronto di prezzo: in Italia quel pantalone viene venduto ad un prezzo di euro 19,95, mentre in Bangladesh il prodotto finito (comprensivo di materia prima, lavorazione, etichettatura, confezionamento e spedizione) ha un costo di euro 5,27. E anche se andiamo a guardare agli stipendi le cose sono molto differenti: mentre un operaio tessile italiano ha uno stipendio minimo di euro 1141 al mese per 8 ore di lavoro giornaliere, un operaio bengalese può guadagnare tra i 30 e i 53 euro al mese, lavorando dalle 12 alle 16 ore fino ad arrivare alle 20 ore in caso di urgenza. Perché allora le aziende italiane spostano la produzione all'estero? La risposta è tutta qui.