Chi vive una menomazione, una disabilità, deve fronteggiare un limite alle sue opportunità, alle sue esperienze, alle sue possibilità e più in generale alla sua vita che viene stravolta nel complesso da condizioni che la alterano radicalmente.

Le condizioni dei disabili non vanno sfruttate

Tutti conosciamo almeno una storia di persone che hanno raggiunto grandi obiettivi e avuto successo nonostante le condizioni iniziali e, bisogna ammetterlo, fa un certo effetto se paragonato alla propria vita: sembra darle valore solo per il fatto che le potenzialità a nostra disposizione sono infinitamente maggiori della persona che vediamo vincere le paralimpiadi, motivare le folle con la propria testimonianza o anche solo condurre una vita felice e serena.

Ma, per quanto i traguardi dei disabili di ogni genere siano importanti ed elogiabili, diventa fondamentale vedere la questione in più ampia considerandoli prima di tutto persone, che il più delle volte non hanno né voglia né bisogno di essere deificati.

Può sembrare ovvio ma se aprite la vostra homepage Facebook troverete sicuramente foto, video o frasi al solo scopo di motivare chi le osserva che narrano la mirabolante vita vita di qualcuno di più sfortunato di noi.

Questo fenomeno culturale è quello che Stella Young (attivista per i diritti civili) definisce pornografia motivazionale ossia l'oggettivazione di un individuo a scopo personale di autoconvincersi di poter essere migliore.

Queste persone rappresentano la ricchezza nascosta che è in ognuno di noi.

È probabile che almeno una volta vedendo uno di questi filmati si sia pensato “Se fossi così allora probabilmente lo farei anch'io".

Il cambiamento è già iniziato

La nuova didattica inclusiva lascia ben sperare che queste persone non solo riescano ad avere tutte le possibilità che gli spettano di diritto ed essere felici, ma anche portare nuove prospettive all'interno del pensiero delle nuove generazioni.

Solo credendo in loro come risorse, e non solo compatendoli, possiamo creare una società migliore e più vivibile per loro.

Già in alcune classi con un bambino non udente si insegna il linguaggio dei segni, che permette sia al diretto interessato di comunicare con la propria classe e sentirsi più a suo agio, sia a tutti gli altri alunni di ottenere una rara abilità spendibile proficuamente nella vita lavorativa e non.

Si potrebbe pensare a questo applicato ad ogni tipo di disabilità: training attentivo per dislessici e tecniche di comunicazione verbale esplicita per non vedenti, insegnamenti di empatia per bambini in difficoltà e tanti altri ancora.

Tutti questi sono programmi standardizzati già presenti e già sperimentati la cui efficacia nel migliorare la qualità di vita dei soggetti - sia clinici che non - è nota alla comunità scientifica ormai da anni.

Se ciò venisse attuato in maniera specifica e debitamente tarata sui vari casi, si ridurrebbe il problema dell’inclusione dei disabili, si mitigherebbe il loro senso di inadeguatezza, si crescerebbero adulti rispettosi del diverso e con svariate abilità supplementari e inoltre si eviterebbero fenomeni comunissimi ed odiosi come i genitori che chiedono il trasferimento dei figli a classi senza qualcuno che li “rallenti” nel loro apprendimento.

Basterebbe quindi un’ora di scuola a settimana per crescere una società di abili e diversamente abili altrettanto umanamente e tecnicamente capaci.