Nella storia umana, a memoria d'uomo, Gerusalemme è sempre stata un punto nevralgico conteso da culture diverse. Dalle contese dei mondi precristiani, passando per le crociate medievali, fino a giungere ad oggi ad uno dei temi sempre vivi e caldi dell'attualità geopolitica. Senza voler andare troppo indietro, ci sembra doveroso fare un minimo riepilogo storico di quanto avvenuto negli ultimi 80 anni.

L'assemblea generale delle nazioni unite nel 1949 dichiarò Gerusalemme sotto giurisdizione ONU per favorire la coesistenza tra cristiani, ebrei e musulmani.

Insieme a questa presa di posizione dell'ONU, venne varato il piano generale della partizione della Palestina in due stati, accettato dall'allora comunità ebraica pre-israeliana, ma che venne invece rifiutato dalle componenti di cultura musulmana e palestinese. Entrambe le parti non erano tuttavia disposte in alcun modo a rinunciare alla "città santa", e per questo motivo le forze ebraiche e quelle arabo-giordane della Legione Araba occuparono Gerusalemme: le prime il settore occidentale della città, le seconde la sua parte orientale. Nel 1949, il neonato Stato israeliano con un proclama dichiarò Gerusalemme capitale della sua nazione, e vi spostò gli uffici amministrativi.

Nel 1980, durante gli eventi tragici che si incasellano in quella che viene chiamata "guerra dei sei giorni", Israele dichiarò Gerusalemme capitale "unita e indivisibile", suscitando grande malcontento sia tra le comunità arabe, sia nell'ONU che si era fatta garante del carattere internazionale della città.

Sostanzialmente, con l'uso della forza Israele si appropriò della "città santa".

Le proclamazioni sono state fermamente respinte da risoluzioni ONU (risoluzioni 476 e 478 del 1980, 672 del 1990, 1073 del 1996 e 1322 del 2002) e sentenze di corti internazionali, dato che la città di Gerusalemme comprende territori non riconosciuti come israeliani dal diritto internazionale.

La Corte internazionale di giustizia ha confermato, nel 2004, che i territori occupati dallo Stato di Israele oltre la "Linea Verde" del 1967 continuano ad essere "territori occupati" e quindi anche la parte est di Gerusalemme.

La comunità internazionale, di fatto, non riconosce lo status di capitale alla città israeliana, utilizzando anche un escamotage pragmatico, ovvero quello di avere le proprie ambasciate a Tel Aviv.

È in quest'ottica che appare particolarmente grave la presa di posizione di Trump, che rompe appunto questo escamotage con la volontà di spostare a Gerusalemme l'ambasciata americana.

La decisione di Trump

Dall'amministrazione USA arrivano indiscrezioni: l'ambasciata statunitense continuerà ad essere ancora per sei mesi a Tel Aviv, ma per la Casa Bianca: "Non è questione di se, ma di quando".

Il presidente Trump ha dichiarato che nelle prossime ore riconoscerà Gerusalemme quale capitale di Israele, e ne ha personalmente informato il presidente palestinese Abu Mazen, il quale ha lanciato un monito sulla possibilità più che concreta che una simile decisione possa compromettere il percorso di pace e la sicurezza non solo per la città, ma anche per il mondo intero, sottolineando non a torto come la dichiarazione di unificazione di Gerusalemme da parte di Israele sia un atto illegale e non riconosciuto.

Le reazioni internazionali

Non si sono fatte attendere da parte dei principali attori della politica internazionale le prime reazioni a caldo, tra cui quella di Papa Francesco che ha invitato a mantenere lo status quo a Gerusalemme.

Anche i maggiori leader europei hanno manifestato il loro dissenso: Alfano, dalla Farnesina, ha affermato che la soluzione a due stati è l'unica davvero percorribile, ed è stata già a lungo percorsa dalla comunità internazionale, posizione che trova riscontro anche nel leader francese Macron.

Ben più appassionata la risposta di Erdogan, che riconosce in una simile presa di posizione una possibile "linea rossa per i musulmani" che potrebbe portare ad una rottura dei rapporti diplomatici tra la Turchia e Israele.

Ambigua la posizione degli arabi sauditi, i quali in apparenza condannano questo gesto, dichiarando che potrebbe suscitare le irritazioni di tutti i musulmani nel mondo. Tuttavia, di posizione ben diversa Yaacov Nagel, fino a otto mesi fa consigliere per la sicurezza nazionale del premier israeliano Netanyahu. I sauditi non hanno più interessi nei confronti dei palestinesi secondo Nagel. All'erede al trono Mohammed bin Salman basta poter dire "c’è un accordo", riservandosi magari di farlo accettare forzatamente ad Abu Mazen, dato che i sauditi hanno interessi a stringere un'alleanza con Israele in funzione anti-Iran.

Aboul Gheit, segretario generale della Lega Araba, in un discorso alla riunione straordinaria dell'organizzazione dei paesi arabi al Cairo ha ribadito quanto detto da Abu Mazen, mettendo in guardia sulle conseguenze che una simile presa di posizione potrebbe innescare.

Prima reazione palestinese

Alle dichiarazioni di Abu Mazen seguono subito i fatti con la dichiarazione di Ismail Haniyeh, leader di Hamas, che in una missiva indirizzata ai dirigenti arabi e musulmani, pubblicata dal movimento palestinese, dichiara che "saranno oltrepassate tutte le linee rosse", mettendo in allarme e le forze di difesa israeliane. Anche le fazioni palestinesi moderate hanno manifestato il loro dissenso facendo partire subito la prima iniziativa detta "3 giorni di collera", che invita tutti i cittadini palestinesi nel mondo a manifestare di fronte alle ambasciate e consolati israeliani da oggi fino a venerdì.

Prime analisi

Quali siano le motivazioni che spingono l'amministrazione Trump ad un gesto tanto eclatante, ancora è difficile da comprendere.

Probabilmente stiamo assistendo ad una grande mobilitazione anti-Iran, con una coalizione Israele-USA-Arabia Saudita, e non sarebbe da escludere che, per la fedeltà di Israele, gli sia stato promesso il riconoscimento di Gerusalemme capitale.

Resta di fatto che si percepiscono ormai fin troppo chiaramente nuove tensioni emergenti, e al di là delle "vox populi" che tramano tesi cospirazioniste di fantomatiche lobby ebraiche, è evidente che l'ingerenza USA in Israele abbia radici di interessi molto consistenti, e che lo scacchiere delle alleanze internazionali sia in gran fermento.