La teoria economica standard afferma che la migrazione europea in entrata, come il libero scambio, avvantaggia la popolazione nativa. Ma una ricerca recente, dell'Università di cambridge, ha messo in luce grandi lacune su questo argomento, mentre le conseguenze sociali e politiche dei confini nazionali aperti suggeriscono in modo simile l'adeguatezza dei limiti all'immigrazione.

Lo studio: "The costs and benefits of large-scale immigration"

Robert Rowthorn è professore emerito di Economia all'Università di Cambridge e membro del King's College. È autore di numerosi libri tra cui la deindustrializzazione e il commercio estero (con John Wells) e articoli accademici su crescita economica, cambiamenti strutturali, occupazione e migrazione.

Il professore in uno studio chiamato "The costs and benefits of large-scale immigration" analizza l'impatto dell'immigrazione di massa nel Regno Unito e la sua incidenza nel mercato del lavoro.

Secondo gli economisti standard con l'aumento dei flussi migratori aumenta l'offerta di lavoro che contribuisce a ridurre i prezzi e quindi, di conseguenza, dei salari. Questo però, secondo la teoria economica attuale, avviene solo per un determinato periodo di tempo poiché l'aumento dei guadagni per le imprese le porta ad investire accrescendo la domanda di lavoro e quindi riportando gli stipendi al livello iniziale. Secondo Rowthorn però questo non è vero, in quanto i salari sono rigidi verso il basso e non è facile abbassarli, mentre è più facile assumere un immigrato che, non provenendo dal contesto locale, non è sindacalizzato ed accetta più volentieri stipendi inferiori.

Effetto che, sempre secondo lo studio, mette in contrasto autoctoni con i migranti; in particolare questo gioco di forza avviene per i lavori meno qualificati.

I dati macroeconomici

L'economista Rowthorn, parlando del mercato del lavoro inglese e citando uno studio, dice che per ogni aumento dell'1% tra popolazione locale e immigrati, la disoccupazione cresce tra lo 0,23 e lo 0,6%.

Il Migration Advisory Committee addirittura ha stimato che tra il '95 e il 2010 in UK per ogni 100 nuovi immigrati, 23 inglesi perdevano il lavoro. L'Ocse, da parte sua, ha confermato la tendenza: l'incremento dell'occupazione degli immigrati corrisponde a una diminuzione dell'occupazione per i locali. Riassumendo, l'immigrazione nel breve periodo porta il calo degli stipendi e aumenta la disoccupazione, mentre nel lungo periodo i benefici si potranno vedere solo se gli immigrati saranno in grado di integrarsi nel mercato lavorativo.