Dalla Spagna ci arriva una notizia a dir poco straordinaria: il protagonista della particolare, anzi particolarissima vicenda, è lo spagnolo Gabriel Montoya Yimenez, detenuto nella prigione di Villabona, nelle Asturie: colto da un malore in cella, viene trovato da uno dei sorveglianti e subito controllato dai medici del carcere. Vista la gravità delle condizioni, viene portato d'urgenza all'ospedale, dove un ulteriore medico non può che constatarne la morte stabilendo di trasferire il cadavere all'Istituto di Medicina Legale di Oviedo per l' autopsia, obbligatoria in tutti i casi del genere.

Trascorrono intanto due ore dal ricovero e la famiglia viene informata del decesso, poi dopo altre 5 ore di attesa, ecco la sconvolgente rivelazione: gli addetti all'autopsia improvvisamente sentono un leggero e caratteristico rumore, semplicemente un russare profondo e capiscono che esso è proveniente dal sacco nero che contiene il cadavere che, intanto comincia leggermente a muoversi. Aperta la cerniera di chiusura, la sorpresa è grandissima: il morto non è più morto ed il "resuscitato" finisce all'ospedale sotto sorveglianza per gli accertamenti indispensabili.

Catalessi?

Cosa sia realmente successo è ancora incerto e il caso semplicemente lascia tutti sconcertati: si sa soltanto con certezza che l'uomo, di appena 50 anni, presentava diverse malattie per cui era sotto cura, ma come abbia potuto "superare" gli accertamenti di ben 3 medici e finire sul tavolo delle autopsie, nessuno riesce a spiegarlo.

Il termine che potrebbe definire il suo stato, in parte, è "catalessi" che sul dizionario viene definita come una sospensione di tutte le attività e le funzioni corporali con totale irrigidimento dei muscoli, condizione che potrebbe persino indurre all'erronea constatazione di decesso. Ma oltre questo iniziale approccio, nessuno sa precisare cosa sia intervenuto per confondere 3 medici di cui 2 con più di 30 anni di esperienza.

Intanto la famiglia è sul piede di guerra e afferma che il detenuto è stato vittima dell'incuria, concludendo che la sua salvezza è stata la sua tendenza a russare.

La Sindrome di Lazzaro

La Catalessi e il successivo improvviso risveglio viene comunemente detto -Sindrome di Lazzaro- in onore del più famoso resuscitato della Storia, cioè il Lazzaro dei Vangeli amico di Gesù: casi accertati nel passato ne sono stati raccontati parecchi, ecco perchè nacque nel Medioevo la figura del becchino, che come dice l'etimologia della parola, doveva "beccare", mordere il piede del morto per stabilire la sua mancanza di reazioni.

Nella realtà, i casi di morte apparente e quindi di catalessi erano scoperti casualmente per eventuali riesumazioni o per ladri di cadaveri che aprendo bare, scoprivano cadaveri messi in posizioni strane come se avessero cercato di spingere per aprire i coperchi delle stesse e avevano registrato sul viso in decomposizione il loro orrore.

Oggi come oggi, i casi di catalessi sono ridotti, nelle società più avanzate, pressoché allo zero in quanto si aspetta di solito almeno 48 ore prima della sepoltura e, in casi ambigui, si effettua sempre il controllo elettroencefalografico per appurare la condizione.

Edgar Allan Poe, il padre della catalessi letteraria

Il grande scrittore americano Edgar Allan Poe può a buon diritto, essere definito il padre della letteratura gialla e horror e nei suoi racconti, spesso e volentieri, parla dei casi di morte apparente e catalessi e questo soprattutto in "Berenice", "La caduta della Casa degli Usher", "Il seppellimento prematuro".

Poe sentiva il fascino di alcuni casi di cui era venuto a conoscenza e inserisce proprio queste situazioni raccontando di risvegli in cripta, in tombe comuni, in terra con soffocamento e addirittura (come nel caso di cui sopra) sul tavolo delle autopsie. Poe descrive in modo vivo e decisamente terrificante i casi di catalessi: senso di soffocamento con oppressione dei polmoni, abbraccio di uno spazio angusto, oscurità della notte assoluta, la Notte con la N maiuscola, silenzio totale e totalizzante, con lo sviluppo della cosiddetta "lazzarofobia" cioè del terrore di essere seppellito vivo, cosa che spinge molti a preferire oggi la cremazione.