Due morti in poche ore, due detenuti che si tolgono la vita, due drammi che richiamano l'attenzione sul silenzio delle celle rotto solo quando a fare rumore sono i numeri della morte. Le carceri coinvolte a distanza di due giorni sono quello di Uta e della Casa Circondariale di Civitavecchia: a togliersi la vita nel carcere sardo è stato un uomo di 42 anni, di origine algerina, deceduto nella notte tra sabato e domenica; su di lui non trapelano molte informazioni, alcune fonti dicono che avesse problemi psichici. Carenza di dettagli anche per l'uomo di origine polacche che si è impiccato alla finestra della sua cella nella Casa circondariale di Civitavecchia, dove si trovava da agosto.

In questo caso l'Agente della polizia penitenziaria ha dato subito l'allarme, l'uomo infatti era ancora vivo quando sono arrivati i soccorsi, ma i tentativi per rianimarlo sono stati inutili.

Si apre così il 2018 nelle carceri italiane, quando nei primi giorni dell'anno a tentare il suicidio era stata una donna detenuta nel carcere di Pisa, in questo caso salvata dall'intervento tempestivo di una poliziotta. Mentre Rita Bernardini, coordinatrice della Presidenza del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito, ed un gruppo di Radicali proseguono portando avanti l'eredità trasmessa, scegliendo di trascorrere le festività natalizie insieme ai detenuti del Carcere di Rebibbia, di Regina Coeli, e non solo, la politica continua a risultare latitante nel proporre soluzioni che rimuovano le criticità che riguardano la vita detentiva, basti pensare che l'Italia non ha un ordinamento penitenziario minorile da ben 42 anni, come affermato di recente da Mauro Palma, garante nazionale dei Diritti delle persone detenute o private della libertà personale.

Le cifre

Ma torniamo ai numeri, quelli del primo e del secondo semestre del 2017, per comprendere una condizione di chiara emergenza: 567 tentati suicidi, 541 ferimenti, 3562 colluttazioni e 4310 atti di autolesionismo, e una media da campo di battaglia registrata in 5 morti al mese nei primi 5 mesi del 2017, senza considerare le aggressioni agli agenti di polizia penitenziaria che da anni denunciano la condizione del personale sotto organico.

Sotto accusa restano il sovraffollamento in cui i 9 mq previsti si vedono spesso ridotti ad un terzo, la carenza di medici all'interno delle carceri, l'aumento di detenuti con patologie psichiche, per cui esistono ancora i così detti “letti di contenzione” con lacci di cuoio, mentre risultano quasi assenti presidi fissi di psichiatri e psicologi.

Suicidi dei detenuti e suicidi degli agenti della polizia penitenziaria, come evidenzia l'associazione Antigone che ricorda l'importanza di misure come “i colloqui individuali, la sorveglianza dinamica, l'umanità del trattamento, il sostegno psicosociale e la liberalizzazione delle telefonate” per i detenuti, ma anche della garanzia del “prestigio sociale ed economico” per tutti gli operatori penitenziari come educatori, assistenti sociali, giovani direttori, così da ridurre il carico sugli agenti della polizia penitenziaria.

Ad emergere è un quadro desolante oltre che allarmante, ben lontano dal raggiungimento “della tutela alla vita del diritto per il diritto alla vita” più volte citato dallo scomparso Marco Pannella, così come oltremodo distante dal semplice inserimento tra i punti focali conclamati dai tanto sbandierati programmi elettorali.