Le neofemministe odierne potrebbero apprendere molto da queste tre donne, se solo non si trincerassero troppo di frequente dietro slogan o immagini di nudo - di modestissima portata, peraltro, il più delle volte. Ma si sa, non esistono portatori sani di fondamentalismo: di quello si può solo morire, mentalmente e/o fisicamente. Le Sleater-Kinney sono un concentrato di energia, vere militanti del punk, dagli inizi della loro carriera negli anni Novanta ad oggi. E cosa importa se qualcuno pensa che se non fossero donne non verrebbero così tanto osannate? Può darsi, ma va bene. La loro musica ha comunque due attributi da far rizzare i capelli, se non pure qualcos'altro, a chiunque si avvicini loro senza pregiudizi. Nelle chitarre e nelle voci graffianti di Carrie Brownstein e Corin Tucker c'è, oltre al resto, una carica sessuale di tutto rispetto. Ma in realtà, è proprio "il resto" che le rende uniche, col loro mai prono intento di denuncia e critica sociale.

Le riot grrrl vengono spesso fuori dagli ambienti LGBT, nulla di nuovo. Eppure si rischia di ridimensionarne la portata ritenendo le Sleater-Kinney semplice espressione di quel particolare gruppo culturale. I loro testi non sono apologie della donna e dell'amore libero: sono denuncia sociale a 360 gradi. Vero è pure che la vita privata delle ragazze ha giocato un ruolo favorevole alla costruzione dell'immagine da rockettare ribelli, che le ha aiutate ad implementare le vendite degli album, più o meno consapevolmente.


La storia - Il gruppo si era formato nel '94. Ad un periodo di poco successivo risale anche il famigerato articolo della rivista musicale Spin, in cui saltò fuori a sorpresa la notizia della relazione sentimentale fra Carrie e Corin. Dopo oltre dieci anni di carriera si sciolgono, nel 2006, per un "indefinite hiatus" che termina solo lo scorso anno. Nel frattempo continuano ognuna con la propria vita e le loro strade artistiche si separano. Corin Tucker e Janet Weiss intraprendono carriere da solista e si uniscono musicalmente ad altri artisti di calibro (la Tucker collabora ai solo album di Eddie Vedder), mentre Carrie Brownstein, sorprendentemente, si imbarca in numerosi progetti extramusicali, principalmente televisivi. Diventa un'acclamata star grazie alla serie Portlandia, da lei stessa prodotta, per cui riceve anche una nomination agli Emmy Awards.



La visibilità mediatica riporta sulla cresta dell'onda il gruppo. Nel 2004 Carrie e Janet si riuniscono per formare le Wild Flag, progetto che vede la partecipazione di un'altra musicista donna d'eccezione, Mary Timony degli orchestrali Helium. Di poco successiva è la reunion definitiva, con il ritorno del trio e, con esso, del nome Sleater-Kinney. 'No cities to Love' è uscito il 20 gennaio scorso e sta riscuotendo enorme successo di pubblico e critica. I testi raccontano storie di una middle class intrappolata nei meccanismi biechi di un sistema malato. "It's 9 AM, we must clock in / The system waits for us" recita un verso di Price Tag, prima canzone del disco, come a segnare la rotta dell'intero lavoro. Ma c'è spazio anche per altro, e così in Hey Darling il tema autobiografico viene a galla in modo incisivo, con riferimenti espliciti alla loro riunione, alla fama - da cui spesso se ne ricava solo mediocrità, così dicono - e alle sensazioni contrastanti che ne derivano. Politica, economia, società: testi urlati con potenza e violenza invidiabili.
Le tre donne sono molto cresciute nel lasso di tempo intercorso dall'ultima produzione comune ad oggi - 'The Woods' risale al 2005. "I'm not the anthem, I once was an anthem / That sang the song of me» cantano in No Anthem, eppure aggiungono, in coda al brano "But I want an anthem, I'm singin' an answer / An answer and a voice / To feel rhythm in silence, a weapon, not violence / Power, power, source". La loro risposta, segnata da uno stile rabbioso e post-grunge, merita applausi a scena aperta.