È dal 2012, poco prima della morte prematura di Christopher Reimer, chitarrista dei Women, ex gruppo di Matt Flegel, che inizia la convergenza artistica fra quest'ultimo e Scott Munro. Canadesi di Calgary entrambi; l'anno successivo il gruppo prende corpo, diventano i Viet Cong, avvalendosi della collaborazione dell'altro ex Women, il batterista Mike Wallace, e del chitarrista Danny Christiansen. Flegel alla voce e al basso, Munro synth e chitarra.

Nel tour nordamericano dello stesso anno, in appoggio ai Freak Heat Waves, a fine concerto, vendono il loro primo EP, intitolato ironicamente Cassette, dal tipo di supporto utilizzato in origine per la registrazione dei brani. Nel 2014 riescono ad ottenerne la ripubblicazione in una versione estesa, da quattro a sette tracce, grazie all'interessamento dell'etichetta americana Mexican Summer. E pochi giorni fa, il 20 gennaio 2015, il primo full-lenght album, un self-titled di sette tracce, con l'etichetta indie rock Jagjaguwar, già produttrice fra gli altri dei Bon Iver, Dinosaur Jr. e degli stessi Women.

Difficile etichettare lo stile dei Viet Cong. In poco meno di 40 minuti c'è molto più di semplice post-punk. Ogni traccia è un mondo a sé, con sonorità prog, goth, elettroniche che nella diversità diffondono continuità e uniformità. Nota costante è un lo-fi noise sporco e carico, in cui la batteria di Mike Wallace ricopre egregiamente un ruolo da protagonista, evidente sin dalle prime battute di Newspaper Spoons, che apre l'ascolto con un beat denso che rasenta il tribale. Talvolta serratissima la batteria di Wallace potrebbe sostituirsi a un blast di un pezzo metal - è un'ovvia esagerazione, s'intenda. L'accompagnamento perfetto del synth riesce a rendere in più punti un originale clima ambient drone, mentre gli arpeggi, i riff di chitarra spesso dissonanti e i giri di basso che in Death, ultima traccia, raggiungono l'acme danno nel complesso un'enfasi e un colore ipnotico all'intero album. Dal canto loro i cori, con le eco della voce di Flegel calda e lievemente distorta, soprattutto in Progress of March e Bunker Buster, riportano la mente a sonorità psichedeliche: a tratti pare di trovarsi di fronte a una miscela di Arctic Monkeys e Fleet Foxes.

Le atmosfere cupe ricordano i Bauhaus, benché a tal proposito siano da evitare confronti fra la voce sensuale e ruggente di Peter Murphy e quella molto meno pretenziosa di Flegel. Continental Shelf è un vero e proprio capolavoro, un tuffo nel passato: un probabile ulteriore omaggio (dopo la cover di Dark Entries nell'EP del 2014) alla post-punk band inglese, con l'aggiunta di interessanti sfumature ritmiche alla Talking Heads. Sulla pagina bandcamp del gruppo, è possibile ascoltare in streaming la traccia.

Infine, fra i testi oscuri e poetici di Flegel c'è spazio anche per il ricordo di Christopher Reimer: pochi dubbi che quel «if we're lucky, we'll grow old and die» in Pointless Experience sia un riferimento all'amico scomparso a soli 26 anni. 'Viet Cong' è uno fra i migliori album di debutto della scena indie rock degli ultimi anni. Su una scala da 1 a 10, quest'album vale un 9.