Il titolo lunghissimo e arzigogolato (ma il regista Roy Andersson s'impegna per il futuro ad essere più "triviale") non deve scoraggiare, perché 'Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza' è un film che offre allo spettatore l'occasione di fare una grande esperienza estetica, in un momento storico in cui il Cinema non sembra abbeverarsi più come un tempo alla sorgente dell'ispirazione pittorica, e al contempo, godendo dell'impatto visivo dell'opera, dà anche, a chi voglia coglierla, l'opportunità di fare una seduta di auto-analisi. Capitolo conclusivo di una trilogia (gli altri due film sono stati presentati rispettivamente nel 2000 e 2007, mentre quest'ultimo nel 2014, si noti la cadenza dei sette anni), attraversato da un umorismo spiazzante e amarissimo, che coniuga al riso tinte foschissime forse in ottemperanza al principio beckettiano che vuole che non ci sia nulla di più comico dell'infelicità, l'opera è costruita sulla sequenza di 39 scene, tutte rigorosamente girate in interni, caratterizzate di una fotografia nitida e definita, che riecheggia certi dipinti di pittori nordici intimisti, ma anche alcune suggestioni realiste, opere di Hopper o dei tedeschi Otto Dix e Georg Scholz, per quella grazia aspra nel testimoniare il subumano.

Filo conduttore dei 39 quadri, l'amicizia tra due venditori porta a porta di scherzi carnevaleschi, moderni Sancho Panza e Don Chisciotte: uno spunto biografico che Andersson, figlio di venditori, accoglie, così come la memoria dell'albergo di infima categoria in cui è cresciuto e che ricompare nel film resuscitato nel centro d'accoglienza in cui i due amici sono costretti a vivere a causa dell'indigenza. Tra gli episodi che compongono il film, anche uno che riguarda la storia della Svezia e più in particolare la figura di Carlo XII, rimaterializzato mentre si reca con la sua armata in un bar a prendere una birra e butta un'occhiata impudente a un giovane avventore, una concessione non tanto alla dimensione più aneddotica e pruriginosa dell'esistenza del sovrano, quanto piuttosto al suo lato vulnerabile: anche il re, come l'uomo comune, è un essere fragile.