Quest'anno alla 56 edizione della Biennale d'Arte di Venezia è la volta di Irina Nakhova nella installazione creata al padiglione russo sino al 22 novembre. Visitare il padiglione russo alla Biennale è sempre una esperienza carica di emozione. Ricordiamo Zakharov nell'edizione precedente con la sua pioggia d'oro, che riluceva con la montagna di monetine che cadevano in continuazione anche su appositi ombrelli dati solo ad un pubblico femminile.

Per questa edizione è la volta di Irina Nakhova, artista che si muove come Zakharov nell'ambito dell'esperienza concettuale moscovita, che ha saputo riutilizzare gli spazi dell'architetto Alexei Schusev, creatore del padiglione russo della Biennale e impiegarli in un progetto complesso e articolato.

Un progetto che prevede l'impiego degli spazi di tale padiglione per creare ambienti particolarissimi.

Le installazioni di Irina Nakhova, artista concettuale di Mosca

Ma procediamo per ordine. La prima stanza è quella in cui appare al visitatore una grande maschera antigas. Dentro, un volto di un pilota spalanca occhi inquieti e tristi sui visitatori. Si possono intuire i pensieri e l'umore. Gli occhi si alzano verso il cielo ma si girano verso destra quasi ad invitarti ad entrare nella stanza successiva. Ed ecco il secondo ambiente, completamente nero a ricordo del quadrato nero di Malevich, che l'artista realizzò negli stessi anni in cui Schusev costruì il padiglione russo.Schusev, ricordiamo, è stato uno dei più grandi architetti dell'Unione Sovietica.

Le svariate stanze del Padiglione della Russia alla Biennale di Venezia

Una strana stanza quella nera, perchè se sfiori una scatola posta sul pavimento ecco che il soffitto si apre e vedi cielo e alberi, mentre nel pavimento e nelle pareti vengono proiettati dei video con immagini di natura, erba e terra con vermi. Ma passando nella stanza successiva, quella colorata con rosso carminio, verde e nero, sulle pareti vengono proiettate immagini d'archivio della sua famiglia col nonno fucilato nel 1939.

La videoinstallazione mostra non solo immagini della sua famiglia, ma di altri gruppi famigliari, di giovani, di soldati dell'esercito, di ufficiali. Volti belli, arditi, giovani, vecchi. Ma all'improvviso macchie di pennarello cancellano un volto, due volti, tre volti, e così di lì a poco tutti i volti che compaiono nelle foto risultano coperti da scarabocchi e le immagini ritornano ad essere vessilli neri immersi nell'oscurità.

Sopra alle foto d'archivio ecco gli edifici realizzati da Schusev, come ad esempio la tomba di Lenin, e tutto poi, in un irreversibile processo di disintegrazione, si sfalda, si decompone, si riempie di fogliame e terriccio. Tutto nel mondo sovietico è destinato a perire inesorabilmente proprio come l'ideologia che lo ha partorito. Da vedere questo padiglione, sempre foriero di installazioni suggestive. Il visitatore ha tempo sino al 22 novembre e le sorprese per la 56 esima Biennale di Venezia sono innumerevoli perchè ispirate alla grande critica al Capitale di Marx. Questa volta la critica al mondo sovietico, figlio del Capitale, parte, lancia in resta, dal mondo degli artisti dell'arte concettuale moscovita.