E così, dopo Harry Potter e Twilight, ci dà l’addio un'altra teen saga che per anni ha appassionato milioni di giovani, ma anche i meno giovani.Con la parte seconda delCanto della rivoltava a concludersi una trilogia che lascerà al pubblico in sala l’amaro in bocca. Un’epopea quella della Ghiandaia Imitatrice che non ha concesso, nemmeno per un solo istante, neanche un accenno o una minima parvenza di gioia o di spensieratezza. Ci ricorderemo a lungo di questo aspro racconto nato dalla penna della scrittrice statunitense Suzanne Collins, che pur essendo stato sviluppato per il Cinema come un blockbuster dagli incassi plurimilionari, si è dimostrato capace di metterci tutti dinanzi all’importanza della vita umana.

Recensione

La guerra è finita. Non ci sono stati né vinti né vincitori. Non sono state elargite medaglie al valore. Non sono state erette statue in onore di un qualche eroe impavido. L’epilogo del sadico conflitto ha ceduto il posto soltanto al vuoto interiore, al dolore ed alla sofferenza. Chi è sopravvissuto, tutto quello che può fare è ritornare semplicemente alle proprie case, sforzarsi di ricominciare e cercare di dimenticare l’incubo delle vicende appena trascorse, anche se non sarà affatto facile. Il terzo capitolo diHunger Gameschiude in modo ordinario le gesta d’un eroina che per tutto il tempo non si è mai sentita tale, che ha sempre e solo voluto lottare per la riconquista della quiete e della serenità del popolo di Panem; ma che soprattutto si è di continuo battuta per ritrovare quella calma e quella pace strappategli con la coercizione, a favore del perverso diletto dei cittadini di Capitol City.

Benché nelle battute d'avvio la pellicola fatichi ad ingranare come lo era stata a suo tempo quasi l’intera parte I, successivamente il ritmo inizia progressivamente a procedere in modo incalzante, sino a gettare lo spettatore in mezzo ai crudeli ed imprevisti “settantaseiesimi Hunger Games”. Di certo, si sente la mancanza dell’atroce carneficina adolescenziale della “mietitura”.

Tuttavia, l’inquietudine, la crudezza delle immagini ed il senso d’ansia e d’angoscia permangono in tutta la loro brutalità, ammantate da questo disumano gioco al massacro. Di un gradino inferiore ai capitoli precedenti (forse dato pure dal fatto che soggetti fortemente profondi ed interessanti tipo Haymitch Abernathy (Woody Harrelson), Effie Trinket (Elizabeth Banks) o Plutarch Heavensbee (Philip Seymour Hoffman) siano stati messi un po’ da parte per esigenze di sceneggiatura), Hunger Games: Il canto della rivolta – parte 2 malgrado ciò è da considerarsi, rispetto a quest’ultimi, un’evoluzione più matura e più consapevole della storia e dei suoi personaggi.

Difatti, certi protagonisti non resteranno saldamente ancorati alle personalità che avevamo imparato a conoscere, bensì muteranno, abbracciando svariate sfaccettature emotive, persino quelle figure che sembravano inamovibili sul lato umano; Snow e la Coin, impersonati imperturbabilmente rispettivamente da Donald Sutherland e da Julianne Moore, su tutti.

Chi decisamente ha fatto dei netti passi in avanti nella definizione del proprio character è senza dubbio Josh Hutcherson, il quale offre una prova molto meno bamboccesca e sicuramente più intensa nei panni di Peeta. Oltretutto, la Lawrence si riconferma sorprendente per come sia capace di spaziare dal cinema edificato per le folle, a quello d’impronta maggiormente autorale. Al cardiopalma la sequenza girata nei meandri delle fogne di Capitol City, ove il regista Francis Lawrence omaggia le claustrofobiche ed apprensive atmosfere del ciclo di Alien.