Dal 12 dicembre 2015 al 31 gennaio 2016 Palazzo Madama di Torino esporrà le opere del pittore spagnolo Jusepe de Ribera, detto "Spagnoletto", soprannome derivante dalla sua bassa statura, tra i massimi esponenti della pittura del XVII secolo con Preti, Caracciolo, Stanzione, Cavallino e Giordano, seguace di Caravaggio, e della pittura napoletana del primo Seicento. Marginalizzata dal punto di vista civile e culturale durante il Cinquecento, Napoli si avvia a riconquistare un ruolo di primaria importanza come centro dinamico e vitale di nuove esperienze in campo artistico, culturale e religioso con l'inizio del Seicento.

Gli allievi di Ribera

La mostra intende concentrarsi soprattutto su Ribera e sulle opere dei suoi migliori allievi, tra cui spicca il "San Giorgio" di Francesco Guarini. Saranno esposte anche il "Cristo flagellato", la "Maddalena penitente" e "Giuditta con la testa di Oloferne" di Caravaggio, figura cui si sono ispirati Ribera e i suoi seguaci. Altro punto focale della mostra di Torino sarà rappresentato da Giovanni Ricca, con "Santa Caterina" del 1635 che sarà messa a confronto con la pala di "Sant'Elisabetta d'Ungheria e Santa Francesca Romana" (tra le poche opere documentate dell'artista risalente al 1634) e con "Santa Caterina di Alessandria" di Guarini, e da Hendrick de Somer (più noto come Enrico il Fiammingo), con "Tobia che ridona la vista al padre" del 1635 e Mosè (1638), presentandoci una pittura di grande vitalità cromatica giungendo agli stessi risultati del primo Ribera, ovvero ad un crudo naturalismo.

Ribera e la pittura naturalista

All'epoca dei due soggiorni di Caravaggio, Napoli è dominata dai maestri della vecchia generazione come Corenzio e il Cavalier d'Arpino, i quali restano indifferenti di fronte alle novità naturalistiche del pittore lombardo. Il primo a cogliere la novità di Caravaggio è Battistello Caracciolo, il quale nell'"Immacolata Concezione" per Santa Maria della Stella a Napoli, persegue una narrazione attenta al dato naturalistico, in particolare alla resa degli stati psicologici dei protagonisti e usando contrasti luministici per intensificare l'aspetto drammatico dell'evento.

In coincidenza con la crisi della prima adesione al dettato caravaggesco di Battistello, nasce l'astro del valenciano Jusepe de Ribera, vero alfiere del naturalismo, dal forte impegno etico. L'immediato successo da lui ottenuto è confermato anche dalla protezione del potente duca Ossuna, viceré di Napoli; la sua formazione avviene a Roma a contatto con i maggiori maestri del "caravaggismo".

Alla prima fase napoletana risale una serrata successione di tele stilisticamente compatte, dipinte con vigorosi impasti cromatici. In queste opere Ribera raggiunge vertici di qualità altissimi, tanto da essere considerato tra i protagonisti assoluti delle nuove tendenze naturaliste maturate sull'esempio di Caravaggio, attraverso l'adozione di soluzioni espressive di forte impatto emotivo (pensiamo ad esempio al "Sileno ebbro", alla "Comunione degli Apostoli", al "Martirio di San Filippo" o al "Martirio di San Bartolomeo"). Il pittore spagnolo è esente da qualsiasi forma di compiacimento, ma spesso è provocatorio scegliendo di rappresentare figure al culmine della sofferenza o nei loro aspetti più grotteschi, ritraendoli con i volti e con i corpi di quell'umanità misera che popola i vicoli più poveri di Roma e Napoli.

All'inizio degli anni Trenta, influenzato da artisti con Van Dyck e Guido Reni, Ribera attua una svolta nella sua maniera, che pian piano si volge verso una più spiccata preziosità cromatica e pittorica, annullando qualsiasi asprezza naturalistica per ottenere maggiore compostezza emotiva, anticipando esiti barocchi.