Calopresti è sicuramente un regista interessante e nel film 'Uno per tutti' racconta la storia di un'amicizia vera. Già, perchè ognuno di noi dichiara di avere chissà quante amicizie, ma di amicizie vere ce ne sono poche. Quella che si racconta è dunque la storia di tre vecchi amici, legati da una colpa, quella di aver ammazzato un loro amichetto giocando alla roulette russa. I tre poi fanno la loro vita, ma ecco all'improvviso accadere, al capo della banda dell'infanzia, un fatto terribile, il figlio adolescente coinvolto in una rissa accoltella a morte un suo coetaneo.

La moglie dell'imprenditore, interpretata da Isabella Ferrari, chiama subito il terzo componente del gruppo, un bravo medico che esercita in Calabria. Costui risponde all'invito e arriva a Trieste con tutte le migliori intenzioni, vuole cercare di rappacificare gli animi adoperandosi nella cura del ragazzo accoltellato. Panariello è invece Vinz, il poliziotto che arresta il figlio dell'amico, e avvertirà immediatamente il padre dell'accaduto.

Lo scontro tra le due personalità è immediato ma la storia va avanti con continui flash back sugli accadimenti dell'infanzia e solo alla fine il regista mostra il fatto terribile legato al gioco della roulette russa.

Una Trieste plumbea ed autunnale domina la scena

Tutta la vicenda si svolge in una Trieste triste e plumbea, e un po' come gli animi dei tre amici, coperta da uno strato di potente malinconia.

Calopresti dipinge il quadro veritiero di tre esistenze, con l'imprenditore alle prese, prima del fatto, con una ragazza dell'est con cui si trastulla, una moglie infelice che pratica buddismo e un figlio abbandonato a se stesso e troppo coccolato dalla madre.

L'altro personaggio, il poliziotto, è separato e si gode il figlio solo poche ore a settimana, ed infine Saro, che finalmente si decide a sposare colei che le ha dato un figlio e che ama di amore sincero. La sceneggiatura è tratta dall'omonimo romanzo di Savatteri, eppure nel racconto che si dipana con una certa scioltezza c'è qualcosa che non convince, qualcosa di innaturale, forse nel dialogo dei ragazzi, forse nell'insieme della costruzione.

Rimane buona l'interpretazione di Panariello, in un ruolo drammatico, come la messa a fuoco del regista sui tanti problemi che incombono oggi sulle esistenze di molti di noi. Buono anche l'affondo sulla inconsistenza e sulla licenza nei sistemi educativi rivolta ai giovani da genitori ansiosi, ma incapaci di trasmettere dirittura.