Dici Yes e pensi subito pensi ai suoni barocchi del progressivealle lunghe suite in tempi dispari ricamate da tastiere. Genere che annovera tra i suoi esponenti anche Emerson Lake & Palmer, i primi Genesis, PFM, King Crimson. Per gli amanti del genere, la band inglese torna a suonare a Milano sabato 28 maggio, al Teatro Nazionale. O forse sarebbe meglio dire quello che resta della band. Sì, perché della formazione più classica sono rimasti solo in due: il chitarrista Steve Howe e il batterista Alan White, che peraltro anni fa subentrò a Bill Bruford, vera leggenda dello strumento.

Alla voce manca Jon Anderson sostituito da un altro Jon (Davison), che proviene addirittura da una tribute band e ha tonalità simili. Ma, come sempre, l’originale rimane un’altra cosa, anche per il carisma emanato dallo storico cantante, famoso per la particolare voce angelica.

Alle tastiere manca Rick Wakeman, l’unico in grado di rivaleggiare negli anni ’70 con il compianto Keith Emerson per tecnica e velocità d’esecuzione, peraltro rimpiazzato da una vecchia conoscenza: Geoff Downes, già membro della band all’inizio degli anni ’80 e poi protagonista negli Asia.

Nostalgia di Chris Squire

Ma la nota più dolente arriva dal basso. E non certo perché Billy Sherwood sia poco all’altezza, ma perché mancherà a tutti Chris Squire, scomparso a luglio dell’anno scorso, da sempre colonna degli Yes.

Già, perché Squire era un bassista diverso da tutti gli altri: innovatore al punto da far diventare il basso protagonista, quando invece aveva prima sempre svolto un ruolo di accompagnamento, quasi da comprimario. Con lui tutto cambiò e Squire, con una grande padronanza tecnica – e una presenza scenica invidiabile – portò lo strumento sotto i riflettori come nessun altro prima (e anche dopo) di lui.

Un gigante. E basterebbe ascoltare il suo assolo in “The Fish” per capire, in pochi minuti, cosa ha significato il suo modo di suonare per l’evoluzione del basso nella musica rock.

Da Fragile a Drama

Nostalgia di Squire a parte, a Milano gli Yes eseguiranno per intero gli album Fragile del 1971 e Drama del 1980. Il primo è uno dei dischi più belli della band e del progressive in genere, con capolavori quali Roundabout, Heart of the Sunrise, Long Distance Runaround.

Il secondo, invece, fu il risultato di una svolta nel gruppo con l’abbandono, all’epoca, di Jon Anderson e Rick Wakeman, sostituiti – tra le polemiche e il timore dei fan – dal duo dei Buggles reduce dal grande successo pop di Video killed the radio star: Trevor Horn (poi diventato un grande produttore) e, appunto, Geoff Downes. Ma Drama, nonostante i timori dei vecchi appassionati di prog, si rivelò un ottimo album, in linea con la tradizione del gruppo. E il concerto al Teatro Nazionale sarà interessante anche perché per la prima volta Drama verrà eseguito per intero dal vivo.

Saranno anche invecchiati, si presenteranno pure in una formazione rimaneggiata, ma un concerto degli Yes è pur sempre un appuntamento fondamentale con una band che ha fatto la storia del progressive e, più in generale, della musica rock.

Vale la pena andarci, a maggior ragione se si considera che ormai è forse – per motivi anagrafici – una delle ultime occasioni per poterli ammirare dal vivo. Se quindi vi state ancora domandando se valga la pena – o meno – esserci, la risposta è scontata: Yes.