“La leggenda del pescatore che non sapeva nuotare” in scena al Teatro Quirino sotto la regia di Alessandra Fallucchi ha riscosso una platea piena, lunghi applausi finali e la conferma che lei sia una delle autrici più interessanti nell’orizzonte della nuova drammaturgia nazionale.

Sinossi

Lo spettacolo inizia quando gli spettatori ancora distratti prendono posto, di sottofondo parlano i personaggi della nostra terra, quella dall'accezione più semplice delle borgate, delle campagne, delle mani sporche di terra e di mare.

Le storie raccontano della nostra Italia del centro sud nel primo '900, la generazione dei nostri nonni e della seconda guerra mondiale, storie che forse non abbiamo mai sentito raccontare.

La fotografia di scena è semplice, semplicissima. Nessun cambio d'abito, quattro personaggi che raccontano le loro storie tra realtà e leggenda popolare, e la musica dal vivo che accompagna tutto lo spettacolo rendendolo ancora più emozionante, più tipicamente italiano.

Il viaggio inizia da Roma, siamo alla Garbatella negli anni '40 dove il giovane Arturo vive una semplice Storia di amore e di guerra accompagnata dal suo talento di “stornellaro”. I personaggi si muovono su un palco, ma ci emozionano perché loro sono come noi e raccontano le nostre storie. Arturo dirà: “Famo finta che non è successo niente, che non c’è stata la guerra, che l’amori non finiscono e che nessuno se ne va”.

Arriviamo successivamente in una Sicilia devastata del dopoguerra, siamo a Palermo e Ballarò prende vita tra la innata grazia scenica dell'attrice che interpreta Maria.

La scelta musicale ha un forte richiamo connotativo come succede con la canzone “Sing Sing Sing” in grado di fornire nell'immediatezza l'immagine della presenza americana in terra siciliana. L'immagine e l'atmosfera che si creano sotto quelle note sono eccezionalmente perfetti perché donano la giusta carica di allegria alla scena e contrastano in modo toccante l' epilogo della storia, lasciando veramente estasiati.

Si alternano altri due racconti di vita commoventi e profondi come quella della signora napoletana che anni dopo una cocente delusione d’amore, ritrova la forza di aprire il suo cuore, oppure come quella del pescatore calabrese che non sa nuotare.

Lo spettacolo riscuote successo in platea, tiene tutti con il fiato sospeso. Tutti e quattro gli attori passano da un registro all'altro senza lasciare spazi vuoti, sono in grado di catalizzare su di loro tutta l’attenzione del pubblico creando un vortice di sensazioni e di emozioni.

Note sull'autrice

L'autrice del testo, Alessandra Fallucchi, è riuscita in un intento non facile, quello di raccontare storie semplici per un pubblico che di semplice ha ben poco e che è difficile da portare a teatro.

Il livello espressivo in alcuni tratti lascia pensare che ci si sia lasciati prendere da uno stile troppo basilare che utilizzerebbe una persona semplice ma non un personaggio che interpreta una persona semplice. Ma forse si voleva sottolineare con scherno gli steriotipi linguistici.

Rimangono impresse nell'immediato alcune espressioni dialettali e non, probabilmente atte ad alleggerire passaggi più dramamtici, come le seguenti: “E se non ci conosciamo, come facciamo a conoscerci, se non conoscendoci?” oppure “Aggio tenuto e lacrime arretro all’uocchie”.

Chiude lo spettacolo l'ultimo personaggio che dà la storia al titolo della messa in scena, Mamozio, il pescatore che non sapeva nuotare e che ci fa ridere di gusto giocando con la difficoltà di pronunciare alcune parole in italiano.

Si torna però subito su un registro più alto ed intenso grazie ai riflettori accesi sull'attore che riesce a dare grande spessore psicologico al suo personaggio specialmente nella relazione con il padre. Forte è l'antitesi tra il padre che è capo dei pescatori e suo figlio, incapace di nuotare.

I simbolismi sono fortemente presenti e nel caso di una delle ultime scene è davvero toccante la rappresentazione del mare e del suo moto interpretati grazie ad un semplice lenzuolo bianco.

La trasformazione di Mamozio in pesce una volta sommerso dalle onde e lontano dalla vita terrestre, dà all'interprete l’opportunità di mostrarci l’attore che è.

Non poteva esserci finale migliore accompagnato da minuti di ininterrotti applausi. Lo spettacolo si segue facilmente, dialoghi alla portata anche se alcuni interpetati nei vari dialetti. Riesce nell'intento di far ragionare sull'importanza di preservare le nostre origini nazionali e linguistiche.