Alla 57° edizione della Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, il Padiglione della Mongolia propone una scelta decisamente diversa e più ardua di quella degli altri stati: non si affida ad un solo artista, ma a cinque grandi esponenti dell'Arte Contemporanea: Chimeddorj Shagdarjav, Enkhtaivan Ochirbat, Munkkh-Munkhbolor Ganbold, Botu-Bolortuvshin Jargalsaikhan e Davaajargal Tsaschikher, che cooperano per dare una visione unitaria e completa del proprio stato nelle due sfaccettature in cui esso si mostra: realtà culturale e spirituale e aspetto globalizzato.

La Mongolia, infatti, più di molti altri stati colpiti dal fenomeno della svolta economica avvenuta negli anni '90 dopo il crollo del Sistema Socialista, si è trovata a far convivere la sua più tradizionale e tipica tradizione bucolica e spirituale (è, infatti, un paese che ha vissuto per secoli con secolari tradizioni legate al mondo dello sciamanesimo e del Buddismo) ed una nuova realtà industriale votata alla ricerca mineraria, alla produzione di cashmere e molte altre attività commerciali. La domanda che oggi ci si pone sul futuro dello stato mongolo è inevitabile.

Chimeddorj e le gru di bronzo

L'opera che sicuramente colpisce maggiormente è I'm a Bird di Chimeddorj Shagdarjav. Un complesso di sessanta gru, simbolo asiatico di felicità e giovinezza, bronzee il cui aspetto è ricollegato e somigliante a quello di un fucile.

Quest'opera spicca maggiormente per il numero di esemplari realizzati e perché accompagna lo spettatore all'interno del padiglione, introducendo i temi dell'esposizione già dalla parte esterna della struttura. L'artista ha applicato un sottofondo musicale all'opera in cui si sentono suoni di uccelli e rettili chiaramente. Il senso di tutto questo è mettere in risalto i nuovi obbiettivi della società moderna e quanto essa sia disposta a fare pur di raggiungerli, utilizzando questo stormo di gru-pistole che sconfigge i dinosauri del passato.

L'inedita istallazione di Enkhtaivan

Un'intera stanza ospita l'opera innovativa di Enkhtaivan Ochiribat intitolata Karma. Un'istallazione tecnologica composta dal video del deserto, mostrato in tutta la sua desolazione e nella sua siccità, proiettato sul pavimento e sul sedile di una sedia con lo schienale schiacciato posizionata al centro della stanza, il sedile proietta un effetto acquario con pesce nella piccola parte del pavimento coinvolta.

L'opera simboleggia i poteri da combattere, grandi ed inesorabili come il deserto, e noi, pubblico coinvolto dall'ombra della sedia, dobbiamo ricordarci che il potere non regge nessuno troppo a lungo, proprio come una sedia senza schienale, e dalla piccola oasi tra la siccità assoluta, ci dobbiamo muovere per cambiare le cose, ricordando che le nostre azioni si ripercuotono sulla terra che calpestiamo.