“Ogni otto ore un rinoceronte è vittima del bracconaggio … E’ il momento di cercare nuove soluzioni invece di fingere che le misure anti-bracconaggio da sole possano bastare”.

E’ un’affermazione d’impatto. Come molte altre legate direttamente a ‘Trophy’, documentario realizzato da Christina Clusiau e Shaul Schwartz che si dedica alle delicate tematiche del bracconaggio e della salvaguardia delle specie.

Il film propone uno sguardo interno, come mai prima d’ora era avvenuto, all’enorme business gravitante intorno agli animali in via di estinzione.

Non si tratta più di discussioni a stretto contatto con l’etica, se sia giusta o sbagliata la mercificazione di esseri viventi, quanto più di un’analisi razionale e lucida di quelle che potrebbero essere le soluzioni effettive per tentare di evitare devastanti conseguenze.

Una nuova forma di conservazione

L’allevatore di rinoceronti John Hume si considera un vero eroe nonostante le persecuzioni a cui è sottoposto. Egli infatti propone di mantenere al sicuro la sopravvivenza dei rinoceronti asportando loro, senza dolore alcuno, il corno e mantenendoli in vita. In questo modo la specie è salva, i rinoceronti non vengono decimati e contemporaneamente la richiesta umana viene esaudita.

Anzi un rinoceronte vivo può fornire un altro corno, perché il materiale di cui è costituito è cheratina (e non avorio come nel caso delle zanne d’elefante) come unghie e capelli umani, perciò a distanza di tempo ricresce.

Mentre la strenua lotta contro il bracconaggio non sembra portare a nient’altro che a peggioramenti considerando che negli ultimi cinquant’anni è scomparso circa il 95% della popolazione dei rinoceronti.

La situazione per Hume è tuttavia in un momento di stallo poiché essendogli negata la possibilità di rivendere il corno dei suoi rinoceronti sarà presto costretto a lasciare gli animali liberi, inermi prede dei cacciatori.

Un compromesso bestiale

Oltre al caso del rinoceronte africano il documentario affronta i discorsi su leone, elefante, leopardo e bufalo. I toni si dispongono sempre con grande flessibilità rispetto alle implicazioni morali, sorvolandole spesso e mantenendo un distacco chirurgico.

Il compromesso davanti al quale lo spettatore si ritrova è in tutti i sensi bestiale: il sottotesto allude all’inevitabilità della richiesta umana, è dato per scontato che essa non possa estinguersi mai.

Ma le specie animali sì. Per cui l’unica via imboccabile pare essere quella di un accordo non digeribile, ma salvavita sul lungo termine. Per salvaguardare bisogna permettere l’atrocità. Perché questa è ugualmente garanzia di conservazione.

L’impasse è evidente. Ed è tutta umana.

Le diverse voci in ‘Trophy’ invitano alla riflessione più che spingere a prendere una posizione incontrovertibile. In questa labile neutralità sa respirare la moderazione necessaria per risolvere concretamente questioni tutt’altro che univoche.

‘Trophy’ è uscito a inizio settembre negli USA e dal 17 novembre sarà disponibile sottotitolato in italiano per dividere anche i nostri animi sull’argomento.